Politica ed Olimpiadi. Teoricamente dovrebbero essere due mondi distanti: la Storia racconta che nell'antica Grecia si sospendevano le guerre quando si accendeva la fiaccola di Olimpia. Nell'era moderna, sovente, il cammino della fiaccola in giro per il mondo si è intrecciato con la politica. Le Olimpiadi sono state teatro di proteste razziali, tragico scenario di attentati terroristici, simbolo della Guerra Fredda. Il mondo oggi vive una nuova contrapposizione e dopo anni di distensione, i Giochi a Rio de Janeiro sono tornati ad essere contraddistinti da gesti simbolici il cui valore travalica i confini dello sport.
Elisa, fiorettista anti-Isis
Sottolineato da lunghi applausi, il gesto della schermitrice italiana Elisa Di Francisca dopo la consegna della medaglia d'argento del fioretto individuale femminile, sarà ricordato a lungo. L'atleta azzurra ha portato la bandiera dell'Unione Europea sul podio ed ha voluto ricordare le vittime degli attentati di Parigi e Bruxelles. "L'Europa è unita contro il terrorismo, l'Isis non deve vincere". Un plauso è arrivato direttamente dai vertici dell'Unione che hanno definito il gesto di Elisa Di Francisca "simbolo del ruolo positivo dello sport che permette il dialogo". Ci sarebbero state altre bandiere da sventolare su quel podio, quelle di Nazioni come Siria, Iraq e Libia che combattono tutti i giorni sul campo di battaglia contro la minaccia jihadista, dove il martello del terrorismo ha colpito più volte e con una forza devastante.
Quelle bandiere sventolano simbolicamente insieme a quella a Cinque Cerchi, la decisione del CIO di ammettere ai Giochi una Nazionale dei Rifugiati è stata storica e racconta nelle vicende di quei giovani atleticiò che divide ed insanguina il mondo moderno.
Dedicato alle donne arabe
Il podio del fioretto femminile ha visto per la prima volta la presenza di un'atleta africana ed islamica, Ines Boubakri, che ha voluto dedicare la sua medaglia di bronzo a tutte le donne arabe.
"In particolare alle giovani - ha detto - perché sia una spinta a conquistare il posto che meritano nella società". La spinta dello sport, nel lungo e difficoltoso cammino delle donne in Paesi dove l'emancipazione femminile è pura utopia, è stata fortissima. Erano le Olimpiadi di Barcellona del 1992 quando la mezzofondista algerina Hassiba Boulmerka che avrebbe poi vinto l'oro sui 1.500 metri, fu costretta ad andare allo stadio sotto scorta causa le minacce di morte degli integralisti islamisti.
Tutto questo perché gareggiava come le altre, con braccia e gambe scoperte. Sono trascorsi più di vent'anni, eppure assistiamo alle performances in 'burkini' del duo egiziano del beach volley femminile, Nada Meawad e Doaa El-ghobashy. Fa sensazione vedere quelle tute che coprono quasi integralmente le due ragazze nordafricane, mentre dall'altro lato ci sono atlete che sfoggiano minuscoli bikini sportivi. La rete non divide soltanto due team ma anche due mondi la cui distanza è ben più lunga di quei pochi metri di sabbia.
Hijab come simbolo di identità
Ma c'è anche chi ha scelto l'hijab, il tipico copricapo delle donne islamiche, come senso di appartenenza ad una comunità. La schermitrice statunitense Ibtihaj Muhammad lo indossa sempre quando gareggia.
"Nessuno mi obbliga a portarlo ma non vedo perché dovrei toglierlo, sono una donna afroamericana e musulmana, fa parte della mia identità". Il messaggio della 30enne nata in New Jersey è forte e diretto, contro tutti i luoghi comuni. "Nella mia vita sono stata oggetto di razzismo ma non ho mai cambiato ciò che sono: una donna che porta l'hijab, come tante". Famosa, oltre che per un titolo mondiale nella sciabola a squadre vinto nel 2014, per aver dato una lezione di scherma a Michelle Obama, si rivela dotata di pungente ironia quando le chiedono di Donald Trump che si è spesso scagliato contro la comunità islamica statunitense. "Trump chi? Non conosco nessuno con questo nome".