“Il bikini tricolore batte il velo” è uno dei titoli con cui, pochi giorni fa, un organo di stampa italiano ha presentato la vittoria delle azzurre del beach volley, Marta Menegatti e Valentina Gottardi, contro la coppia egiziana composta da Marwa Abdelhady Madgy e Doaa Elghobashy alle Olimpiadi di Parigi 2024. Le nostre ragazze sono scese in campo in bikini, le nordafricane con una tuta a maniche e pantalone lungo e con tanto di hijab a coprire il capo (scelta quest'ultima assolutamente libera da parte delle due atlete). Otto anni dopo la prima apparizione dell'Egitto nel torneo di beach volley femminile, erano i Giochi di Rio 2016, viene pertanto ancora evidenziato il look 'troppo coperto' delle giocatrici mentre sull'altro versante si combatte una battaglia che vede in campo diverse atlete sul diritto di sfoggiare look che non siano eccessivamente scoperti.

Il dibattito legato a questa particolare disciplina che, ribadiamo, non riguarda l'aspetto agonistico, resta aperto. Ma ci viene in soccorso la Tour Eiffel: lo scenario in cui si giocano i match, infatti, ai piedi del simbolo nazionale francese, ha messo d'accordo tutti, è il più bello di sempre.

Hijab non obbligatorio per le giocatrici egiziane

Ci ricordiamo tutti di una foto scattata dall'alto al torneo di beach volley femminile dei Giochi Olimpici di Rio de Janeiro 2016. La partita vedeva di fronte la coppia di ragazze tedesche e le loro avversarie egiziane, le europee in bikini e le nordafricane con una tuta lunga e aderente, pantaloni e maniche lunghe con tanto di tradizionale hijab a coprire il capo di una delle due pallavoliste (soltanto una per libera scelta, l'hijab non viene obbligato dalla federazione egiziana).

Era la prima partecipazione dell'Egitto nel torneo olimpico e da allora hanno sempre giocato con questo look. La foto divenne virale sui social e diede luogo a commenti di varia natura. Qualcuno sottolineava la presunta difficoltà delle ragazze egiziane nel gioco, ma non sembrava comunque che il look ne frenasse in qualche modo i movimenti come le stesse atlete hanno assicurato in diverse interviste.

Poi, ovviamente, non mancarono commenti sgradevoli di natura islamofoba, aizzati in particolare da qualche sito che ebbe la bella idea (si fa per dire) di modificare le foto nascondendo la ragazza che non indossava l'hijab per evidenziare come i precetti islamici obbligassero a coprire i capelli. Un piccolo, ma importante stratagemma acchiappaclick.

Altre giocatrici 'coperte'

In realtà ci sono state altre atlete che si sono presentate copertissime in eventi internazionali: ai Giochi di Londra 2012 alla luce di un clima tutt'altro che rovente le ragazze brasiliane erano in tuta nel quarto di finale contro la Germania, ma anche le atlete della Repubblica Ceca, dell'Australia e di altre rappresentative avevano il pantalone aderente lungo. E nel citato torneo del 2016 le olandesi, pochi giorni dopo il match tra Germania ed Egitto, avevano tute aderenti a pantalone lungo senza che nessun 'guardone da spiaggia' urlasse il suo sdegno via social. Ma non tutte le tute sono uguali o, semplicemente, dipende da chi le indossa. Contro brasiliane e olandesi non si possono certamente scatenare le crociate.

Un regolamento ai confini del trash

'Guardoni da spiaggia' e, sebbene possa sembrare un'affermazione pesante, c'è un fondo di verità. Quando il beach volley divenne sport olimpico ad Atlanta 1996, la federazione internazionale di Pallavolo stabilì che le atlete indossassero un costume da bagno intero o un bikini con i fianchi non più alti di 7 cm. Nel 2000 il costume intero venne eliminato e si obbligarono le atlete a indossare solo il bikini. La decisione scatenò un vespaio di polemiche, peraltro legittime, simili a quelle scaturite dalla decisione, più o meno nello stesso periodo, di far indossare alle pallavoliste minuscoli pantaloncini aderenti. Idee che per fortuna dello sport furono messe in archivio anche grazie alla forte opposizione delle atlete.

Perché l'intento degli organizzatori sembra proprio dettato da motivazioni che oltrepassano i confini del trash: quello di attirare un pubblico che sia interessato alle 'grazie' delle atlete piuttosto che alla pallavolo. Il dress code del beach volley femminile cade, logica conseguenza, nel 2012 e lascia libere le giocatrici di indossare tenute più coprenti. Ciò non ha impedito episodi surreali: lo scorso anno le giocatrici norvegesi Emilie Olimstad e Sunniva Helland-Hansen hanno rischiato di perdere la qualificazione per le Olimpiadi di Parigi durante la gara del circuito World Tour in Cina. L'arbitro infatti si era opposto alla loro volontà di giocare in top e short, anziché in bikini, nonostante il regolamento parli chiaro.

L'esempio delle ragazze francesi

E proprio in questi Giochi abbiamo avuto l'esempio delle ragazze francesi, Alexia Richard e Lezana Placette che nella loro prima partita hanno giocato in calzoncini e reggiseno sportivo. Un messaggio chiaro sia alle colleghe, sulla libertà del look che viene permessa dal regolamento, sia contro il 'guardonismo da beach'. Hanno infatti spiegato ai giornalisti che il loro intento è quello di 'educare la gente' a seguire gli eventi sportivi. “Vogliamo giocare con i pantaloncini, a volte in bikini, oppure con i leggings – hanno detto ai cronisti – insomma non sempre allo stesso modo. Il pubblico non deve venire a vederci perché siamo ragazze in bikini, ma perché siamo ragazze che sanno fare grandi cose a livello sportivo”.

Uno scenario fantastico

Su una cosa, però, siamo tutti d'accordo. Un simile scenario a fare da contorno alle partite non si era mai visto nella storia di questo sport. Il campo situato ai piedi della Tour Eiffel, all'ombra della Torre e questa volta non è un modo di dire, è davvero suggestivo e affascinante e renderà questo torneo difficile da dimenticare. La scelta degli organizzatori è vincente, magari riesce pure a catturare l'attenzione dei 'guardoni' di cui sopra, almeno tra una schiacciata e l'altra, ma soprattutto distrae da polemiche che finiscono inevitabilmente per sfociare in dibattiti che non c'entrano nulla con lo sport. C'è sempre chi minimizza la questione, definendo eccessivo se non fuori luogo parlare di 'sessismo'. Però nella stessa disciplina nessuno ha mai imposto il dress code agli uomini, obbligando ad esempio gli slip da spiaggia. Qualunquismo? No, semplicemente un dato di fatto.