In ottemperanza agli obblighi derivanti dalla direttiva europea 2015/720, avente ad oggetto la riduzione dei sacchetti di plastica leggeri in favore di sacchetti di plastica biodegradabili, dal 1 gennaio 2018 l’Italia si è adeguata alla normativa comunitaria. Infatti, a decorrere da quest’anno, non solo gli ipermercati, ma anche i piccoli negozi di alimentari, i fruttivendoli e le farmacie, hanno l’obbligo giuridico di adattarsi alla norma, con la conseguenza che, se non adempiranno, saranno sanzionati con una ammenda che andrà dai 2.500 ai 25 mila euro.
La Comunità europea ha giustificato questa importante novità sostenendo che “gli attuali livelli di utilizzo di borse di plastica si traducono in elevati livelli di rifiuti dispersi e in un uso inefficiente delle risorse. Il problema è, inoltre, destinato ad aggravarsi in assenza di interventi in materia. La dispersione dei rifiuti costituiti da borse di plastica si traduce in inquinamento ambientale e aggrava il diffuso problema dei rifiuti dispersi nei corpi idrici, minacciando gli ecosistemi acquatici di tutto il mondo.”, come è espresso nel preambolo della direttiva. Sempre secondo quanto espresso dalla stessa direttiva, la percentuale di componente biodegradabile nei sacchetti di plastica è, ad oggi, in percentuale minima del 40%, ma sarà destinata a crescere nei prossimi anni; infatti nel gennaio 2020 dovrà salire al 50%, e nel gennaio 2021 dovrà essere almeno pari al 60%.
Ma perché questa direttiva europea, oggi a tutti gli effetti legge italiana, ha creato tanto scalpore da parte dei consumatori?
Il costo dei nuovi sacchetti bio (che oscilla tra 1 e 3 centesimi a busta) sarà interamente sostenuto dalle famiglie, le quali, secondo un’indagine di Gfk-Eurisko del 2017, fanno in media 139 spese l’anno; per cui si stima che la famiglia italiana media spenderà tra 4,17 e 12,51 euro l’anno solo in shopper biodegradabili.
E’ stato dichiarato dal dicastero che i sacchetti bio, nonostante non possano essere utilizzati più di una volta per regioni di contaminazione, possano essere portati da casa, a patto che siano monouso e idonei per gli alimenti.
Ma forse non tutti sanno che oltre a frutta e verdura, salumi, pesce e carne acquistati al banco, anche le buste della farmacia sono toccate da questa rivoluzione.
Di conseguenza, anche quelle buste biodegradabili che, fino all’anno scorso venivano distribuite gratuitamente nelle farmacie, a partire da qualche giorno fa, sono a pagamento.
Come hanno reagito i consumatori in questi primi giorni dell’anno?
C’è chi ha parlato di vera e propria protesta sui social, indice di un malcontento generale. Frasi come 'A mali estremi, estremi rimedi', 'Fatta la legge, trovato l'inganno', hanno accompagnato foto di banane, zucchine e mandarini etichettati uno ad uno, allo scopo di non pagare il sacchetto. E non è tutto: anche in farmacia alcuni consumatori hanno dichiarato di aver rinunciato ai sacchetti pur di non pagarli. Il malcontento non è stato sentito non solo dai consumatori, ma anche dai politici, come Giorgia Meloni, candidata Premier per Fratelli d’Italia, la quale, su Facebook, ha espresso che: 'non bastavano i rincari di gas, luce e autostrade.
Dal 1 gennaio 2018 è arrivata una nuova tassa voluta dal Pd: i sacchetti di plastica usati nei supermercati per frutta, verdura, ecc. sono a pagamento. A guadagnarci sarebbe, secondo alcune ipotesi di stampa, un'azienda molto vicina a Renzi e al Giglio magico'.
Con queste ultime parole, la candidata premier ha fatto riferimento al fatto che l’azienda incaricata della produzione di questi sacchetti biodegradabili, la Novamont, abbia come amministratore delegato Catia Bastioli, definita da molti come “fedele e amica di Renzi”. Questa azienda, da considerasi come monopolista nel settore, produce infatti Mater-Bi, una sostanza di amido di riso e oli vegetali, alla base dei sacchetti biodegradabili.
Anche alcuni gruppi di interesse hanno detto la loro: per il Codacons i sacchetti a pagamento sono 'un nuovo balzello che si abbatterà sulle famiglie italiane, una nuova tassa occulta a carico dei consumatori'. Secondo Legambiente invece 'non è corretto parlare di caro-spesa. L'innovazione ha un prezzo, ed è giusto che i bioshopper siano a pagamento, purché sia garantito un costo equo, che si dovrebbe aggirare intorno ai 2-3 centesimi a busta. Così come è giusto prevedere multe salate per i commercianti che non rispettano la vigente normativa'.
Insomma, tra opinioni discordanti e scontentezza dei consumatori, una cosa è certa: i sacchetti li dobbiamo pagare!