I debiti tributari devono essere pagati integralmente se si vuole evitare di essere accusati di qualche reato tributario come, ad esempio, l'omesso versamento Iva. Non importa se nel frattempo si è aderito ad un accordo di rateizzazione con il Fisco. E tali debiti tributari hanno sempre la precedenza sugli altri debiti dell'impresa e dell'imprenditore anche nel caso si tratti del pagamento degli stipendi ai dipendenti. Di conseguenza, l'imprenditore in difficoltà economica non può invocare la forza maggiore come circostanza attenuante del suo mancato adempimento.
Sono queste le conclusioni a cui è pervenuta la Suprema Corte di Cassazione e che sono state sintetizzate nella Sentenza n° 44515 della Terza Sezione Penale depositata in Cancelleria il 31 ottobre 2019.
I fatti che hanno portato al giudizio della Corte
La Corte di Cassazione si è trovata di fronte al ricorso di un imprenditore che in primo grado era stato condannato a cinque mesi e 10 giorni di reclusione per il reato di omesso versamento Iva disciplinato dall'articolo 10 ter del Decreto Legislativo 74/2000 per non aver effettuato il dovuto versamento per l'anno di imposta 2010. Successivamente, la Corte d'Appello di Roma riformava la sentenza di primo grado condannando l'imprenditore a scontare solo un anno di interdizione dalla possibilità di contrattare con la Pubblica Amministrazione oltre che imporre l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza ed assistenza in materia tributaria, eliminando la subordinazione della sospensione condizionale della pena all'estinzione del debito tributario.
L'imprenditore ha presentato ricorso per Cassazione contro tale decisione della Corte d'Appello in quanto sosteneva che, in primo luogo, sarebbe carente la prova dell'esistenza dell'elemento soggettivo, cioè la volontà di non adempiere. Infatti, la difesa del ricorrente ha sostenuto come siano state attuate tutte le possibilità per non ricadere nell'illecito penale contestato.
Il ricorrente, infatti, ha fatto notare come si sia cercato in ogni modo di continuare a pagare i dipendenti e a garantire la continuità aziendale. E a tale scopo si era aderito anche alle procedure conciliative messe a disposizione dall'Erario e sottoscritto una rateizzazione del debito fiscale che era ancora in corso al momento dell'inizio della proposizione della causa.
Nello stesso tempo, la difesa del ricorrente fa notare come sia stata fornita ampia prova della impossibilità da parte del contribuente di far fronte alla crisi d'impresa anche facendo ricorso a misure particolarmente sfavorevoli per lui.
Inoltre, la difesa ha sostenuto che l'adesione del contribuente alla procedura conciliativa proposta dall'Erario e alla conseguente rateizzazione del debito avrebbe dovuto convincere il giudice della volontà di adempiere dello stesso e consentire di applicare al suo caso la riduzione alla metà della pena come stabilisce l'articolo 13 bis, comma 1, del Decreto Legislativo 74/2000. Oltre alla non applicazione delle pene accessorie come prevede l'articolo 12 dello stesso decreto.
La decisione della Suprema Corte
Il Supremo Collegio ha ritenuto infondato il ricorso del contribuente. La Corte, infatti, ha evidenziato come fosse pacifico, e non contestato neanche dal ricorrente, che quest'ultimo abbia mancato al tempestivo pagamento del debito tributario. Anzi, lo stesso ha sostenuto che la crisi di liquidità e d'impresa in cui era incorso, anche per la mancata riscossione di ingenti crediti, gli aveva di fatto reso impossibile rispettare gli impegni presi con l'Erario. In pratica, il contribuente moroso adduceva motivi di forza maggiore che gli avrebbero impedito di onorare i suoi impegni in tutto e per tutto. Di conseguenza, tale "evento fortuito" sarebbe stato di tale portata da escludere la presen za del necessario elemento soggettivo, cioè la volontà di non adempiere da parte del ricorrente.
D'altra parte, la Corte di Cassazione non si è trovata d'accordo con questa interpretazione e ha fatto notare come per "caso fortuito", secondo un consolidato orientamento, debba considerarsi un evento "imprevisto ed imprevedibile" che si sovrappone alla condotta dell'agente la quale, conseguentemente, non può farsi risalire alla sua dimensione psichica e volitiva. Per contro, la "forza maggiore", chiarisce la Corte, configura un evento, sia di tipo naturalistico che umano, che esula e fuoriesce dalla sfera di dominio dell'agente e che lo spinga in maniera incoercibile verso una condotta, sia omissiva che attiva, che non può essergli giuridicamente attribuita in alcun modo.
Nel caso specifico, la difesa del contribuente ha sostenuto che la crisi d'impresa ha determinato l'assoluta impossibilità per l'imprenditore di onorare le proprie scadenze con il Fisco.
Ci si troverebbe, quindi, proprio nella casistica della "forza maggiore" che il giudice di merito avrebbe dovuto apprezzare maggiormente secondo la difesa.
D'altra parte, la Cassazione non concorda neanche con questa ricostruzione. Infatti, è pacifico che l'imprenditore abbia continuato a pagare gli stipendi ai dipendenti durante l'asserita crisi d'impresa. E tale circostanza, secondo la Cassazione, dimostra come l'impresa non si trovasse veramente nella impossibilità di compiere scelte alternative e, quindi, non era inevitabilmente costretta a seguire una condotta di mancato adempimento delle obbligazioni tributarie. D'altra parte, secondo la Corte di Cassazione, il contribuente non avrebbe fornito alcuna prova documentale che la situazione di difficoltà economica non fosse a lui imputabile.
Né è stata fornita alcuna prova che non sia stato altrimenti possibile reperire le risorse economiche e finanziarie necessarie per adempiere alle obbligazioni tributarie. D'altra parte, fa notare la Corte, perché si configuri il reato di omesso versamento è sufficiente che il contribuente attui la condotta omissiva nella consapevolezza della sua illiceità.
Da quanto detto, la Suprema Corte conclude che la forza maggiore rileva come causa esclusiva dell'evento e mai come causa concorrente dello stesso. Per tali motivi non può in nessun modo ricollegarsi ad una azione o omissione cosciente dell'individuo. E certamente le difficoltà economiche non possono mai integrare la forza maggiore secondo un consolidato orientamento della stessa Cassazione.
In pratica, per la Cassazione l'imprenditore, nel caso specifico, ha operato una scelta in merito a quali creditori soddisfare e quali no. Con ciò, ha di fatto escluso la possibilità di fare riferimento a cause di forza maggiore per il mancato adempimento.
Venendo poi alla riduzione alla metà della pena e alla esclusione delle pene accessorie, la Corte di Cassazione richiamando pedissequamente il testo dell'articolo 13 bis del Decreto legislativo 74/2000, fa notare come questo faccia dipendere la concessione della misura più clemente della metà della pena al pagamento integrale del debito tributario più, ovviamente, sanzioni e interessi nonché del ravvedimento operoso. E tale criterio, continua la Corte, vale per tutti i delitti sanzionati dal Decreto Legislativo 74/2000.
Non solo, ma la Corte fa notare come il precedente articolo 13, comma 1, del Decreto Legislativo 74/2000 precisa che il reato di cui all'articolo 10-ter dello stesso decreto gode della non punibilità nel caso in cui il contribuente interessato provveda al pagamento del debito integrale più sanzioni e interessi prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado.
Da ciò, visto che al momento dell'apertura del dibattimento di primo grado, come ammesso dallo stesso ricorrente, era in corso la rateizzazione concordata con l'Agenzia delle Entrate, non poteva assolutamente dirsi che il debito fosse stato integralmente saldato. In altri termini, precisa la Corte, o il contribuente - debitore provvede all'integrale pagamento entro l'apertura del dibattimento di primo grado e, tramite questo adempimento, ottiene una declaratoria di assoluzione per non punibilità, oppure il debitore non provvede al pagamento e, quindi, rimane aperta la possibilità di richiedere l'applicazione della pena per i medesimi reati. Nel caso specifico, quindi, non era possibile alcun patteggiamento con l'amministrazione finanziaria. Per tali motivi il ricorso è stato rigettato.