Chi, per arrotondare magari, ogni tanto vende dei beni usati online su piattaforme come la famosissima eBay, potrebbe vedersi arrivare un avviso di accertamento da parte dell'Agenzia delle Entrate per non aver denunciato l'inizio dell'attività commerciale e per recuperare diverse Tasse come, ad esempio, l'Irpef, l'Irap e l'Iva. Potrebbero essere queste le conseguenze, per molti contribuenti italiani, della recente Ordinanza n°26554/2020 della V Sezione Civile della Corte di Cassazione depositata in cancelleria il 23 novembre 2020.
Beni usati, i fatti all'origine della pronuncia
Il casus belli che ha dato adito alla pronuncia del giudice di legittimità riguarda un cittadino alto-atesino che, sia per arrotondare le sue entrate sia per far fronte alle difficoltà economiche causate dalla pandemia di Covid-19, aveva iniziato a vendere su eBay dei beni usati, nello specifico dei vecchi orologi. Tali beni usati provenivano, come evidenziato successivamente dal diretto interessato, da una sua collezione privata ma anche da acquisti effettuati presso mercatini rionali.
Comunque sia, l'occasionale venditore online, a un certo punto, aveva ricevuto presso il proprio domicilio la visita della Guardia di Finanza. I militari delle Fiamme Gialle, nel processo verbale di constatazione, avevano accertato che il ricorrente aveva svolto commercio online di beni usati senza dichiarare l'inizio dell'attività.
Non solo, lo stesso non aveva neanche emesso le obbligatorie fatture di vendita. E, di conseguenza, non aveva neanche presentato le relative dichiarazioni dei redditi per gli anni 2005, 2006 e 2007.
Il contribuente alto-atesino aveva presentato ricorso davanti alla Commissione Tributaria Provinciale di Trento e, successivamente, anche di fronte alla Commissione Tributaria di secondo grado.
Ma, in entrambi i gradi di merito, il contribuente era risultato soccombente. Di conseguenza, lo stesso aveva proposto ricorso per Cassazione.
Beni usati, la difesa del contribuente
Il contribuente ricorrente ha contestato la sentenza impugnata nella parte in cui non veniva correttamente apprezzato il fatto che, a suo dire, agli avvisi di accertamento inviati dall'Agenzia delle Entrate non era stato allegato il processo verbale di constatazione né, tanto meno, i documenti probatori acquisiti presso il domicilio del contribuente e che, sempre a modo di vedere della difesa del contribuente, erano stati oggetto solo di una mera rielaborazione.
Di conseguenza, erano inidonei a fondare delle idonee presunzioni. Per tali motivi la difesa del contribuente riteneva violati o falsamente applicati, nella sentenza impugnata, gli articoli 2697, in tema di onere della prova, 2729, in tema di presunzioni semplici e 2709, in tema di efficacia probatoria contro l'imprenditore.
In secondo luogo, la difesa del ricorrente ha ritenuto che fosse violato o falsamente applicato l'articolo 39 del DPR 600/73, in tema di Redditi determinati in base alle scritture contabili. Infatti, il ricorrente lamentava l'eccessiva grandezza dell'utile a lui attribuito anche considerando le percentuali ricavabili dagli studi di settore applicabili al commercio al dettaglio di beni usati.
Inoltre, argomentava ancora la difesa, dato che i beni usati erano stati venduti su una piattaforma digitale erano soggetti anche al diritto di recesso. Di conseguenza, la vendita stessa poteva risolversi in un nulla di fatto.
Veniva, poi, sostenuto dal ricorrente che le sue dichiarazioni contabili non erano finalizzate a una rendicontazione formale. Infine, la difesa del contribuente lamentava, ma solo genericamente, che la sentenza impugnata avesse violato o falsamente applicato l'articolo 8 del Decreto legislativo 546/92, in tema di errore sulla norma tributaria, e l'articolo 10 dello Statuto del contribuente, in tema di buona fede del contribuente stesso. Infatti, il ricorrente affermava di ritenere, in buona fede, irrilevanti dal punto di vista fiscale le proprie condotte confortato, in questo, da presunte rassicurazioni in tal senso ricevute dagli uffici finanziari locali.
Beni usati, la decisione della Cassazione
Il giudice di legittimità ha ritenuto inammissibile il ricorso del contribuente alto-atesino sotto tutti i punti di vista. La Cassazione, in primo luogo, ha fatto notare come era stata la Commissione Tributaria Regionale del Trentino ad attestare la notifica al contribuente del processo verbale di constatazione che questi affermava non essere stato allegato. E tale affermazione non era stata contestata nel ricorso del contribuente.
Per quanto riguarda la misura eccessiva dell'utile attribuito dalla Pubblica Amministrazione finanziaria al ricorrente, la Cassazione fa notare come era il contribuente stesso che doveva fornire la prova contraria alle pretese dell'amministrazione finanziaria.
Ma non sono stati forniti, a tale proposito, elementi negativi di reddito che potessero ritenere erroneo l'accertamento effettuato dall'Agenzia delle Entrate. Accertamento che, poi, era stato effettuato secondo il metodo analitico-induttivo e non meramente induttivo.
Inoltre, il ricorrente era stato qualificato dalla CTR stessa, con adeguata motivazione, come soggetto imprenditore. Di conseguenza, spiegano i giudici di legittimità, non potevano applicarsi allo stesso le disposizioni dell'articolo 39 del DPR 600/73. Infine, la Cassazione si sofferma sull'asserita buona fede del ricorrente nel porre in essere delle condotte che, a suo dire, erano fiscalmente irrilevanti.
A tale proposito la Cassazione richiama un suo recente orientamento in base al quale ai fini della responsabilità per le sanzioni è sufficiente la coscienza e la volontà della condotta, senza che occorra la dimostrazione del dolo o della colpa, la quale si presume fino alla prova della sua assenza, che deve essere offerta dal contribuente e va distinta dalla prova della buona fede che rileva, come esimente, solo se l'agente è incorso in un errore inevitabile, per essere incolpevole l'ignoranza dei presupposti dell'illecito e dunque non superabile con l'ordinaria diligenza.
Inoltre, l'autore dell'infrazione deve aver fatto tutto il possibile per osservare la legge, onde nessun rimprovero possa essergli mosso, neanche sotto il profilo della negligenza omissiva. Comunque, l'onere della prova degli elementi idonei a provare la buona fede grava sull'autore dell'infrazione. Cosa non avvenuta nel caso di specie. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile.