Lo stesso contribuente ha diritto di non vedersi applicare due volte le sanzioni tributarie dall'Agenzia delle Entrate. Una prima volta, ad esempio, per dichiarazione infedele e, successivamente, per omesso versamento. Questo in quanto le sanzioni applicate per la presentazione della dichiarazione infedele assorbono quelle per omesso versamento delle Tasse. Di conseguenza, l'Agenzia delle Entrate non deve nemmeno inviare al contribuente-debitore due distinti avvisi di accertamento per le due diverse violazioni. Questo è, in estrema sintesi, il principio di diritto enunciato dalla V Sezione Civile-Tributaria della Corte di Cassazione e cristallizzato nella Sentenza n° 27963/2020 depositata in cacelleria lo scorso 7 dicembre 2020.

Sanzioni tributarie, i fatti di causa

I giudici di legittimità si sono trovati davanti al ricorso presentato dall'Agenzia delle Entrate contro la decisione della Commissione Tributaria Regionale del Piemonte che, confermando quanto statuito dalla Commissione Tributaria Provinciale di Torino, aveva accolto le ragioni di una società di persone che, in un primo momento si era vista recapitare un avviso di accertamento per dichiarazione infedele Iva e Irap con le relative sanzioni. La società contribuente non contestava il suddetto avviso di accertamento riconoscendo di aver commesso un errore materiale nella presentazione della dichiarazione. Di conseguenza, provvedeva al pagamento di quanto dovuto a titolo di imposte e delle relative sanzioni.

Successivamente al pagamento la medesima società di persone vedeva recapitarsi un secondo avviso di accertamento, questa volta però per l'omesso versamento dell'Iva e dell'Irap non dichiarate. Contro tale atto impositivo la società contribuente aveva presentato ricorso davanti alla CTP di Torino che aveva accolto le sue ragioni, Interpretazione confermata anche dalla CTR del Piemonte che, motivando la sua decisione, aveva sostenuto che ci si trovava di fronte ad un unico comportamento omissivo.

Di conseguenza, non potevano applicarsi due distinte sanzioni tributarie e per di più in tempi successivi. Contro tale decisione la Pubblica Amministrazione finanziaria ha presentto ricorso per Cassazione.

Sanzioni tributarie, la difesa dell'AdE

L'Agenzia delle Entrate ha contestato la decisione della CTR del Piemonte sostenendo, fondamentalmente, che la società contribuente, con la medesima dichiarazione dei redditi, abbia messo in atto due distinti comportamenti.

Il primo, in violazione dell'articolo 5 del Decreto legislativo n° 471/1997, in tema di violazioni relative alla dichiarazione dell'imposta sul valore aggiunto e ai rimborsi. Il secondo, in violazione dell'articolo 13 dello stesso decreto legislativo 471/1997, in tema di ritardati od omessi versamenti diretti. Di conseguenza, per ognuna delle due violazioni l'amministrazione finanziaria aveva provveduto ad irrogare le relative sanzioni.

Le due violazioni si giustificavano, secondo l'Agenzia delle Entrate, in quanto risultava pacifico e non contestato che la contribuente aveva dichiarato un imponibile Iva inferiore a quello risultante dalla stessa contabilità della società. Quindi, dalla dichiarazione Iva della contribuente risultava accertato che l'imposta dichiarata fosse inferiore a quella realmente dovuta, dando luogo al primo avviso di accertamento per dichiarazione infedele.

E sulla base delle sue risultanze contabili si determinava un omesso versamento di imposta che giustificava l'invio del secondo avviso di accertamento con le relative sanzioni.

Sanzioni tributarie, la decisione della Cassazione

I giudici di legittimità, con motivazione molto coerente e dettagliata, ha ritenuto infondato il ricorso dell'Agenzia delle Entrate. La Cassazione, infatti, ha effettuato una doverosa distinzione tra le due norme citate dall'amministrazione finanziaria a sostegno della sua tesi. Nello specifico, gli articoli 5 e 13 del decreto legislativo 471/1997. I giudici hanno evidenziato che con l'articolo 5 si punisce la dichiarazione infedele del contribuente. Questa si realizza quando il contribuente indica nella dichiarazione una imposta inferiore a quella effettivamente dovuta.

Di conseguenza, il contribuente, in questo caso, omette di dichiarare somme dovute e di versare le relative imposte. L'articolo 13, invece, sanziona il mancato pagamento, alle scadenze stabilite, delle somme indicate dal contribuente nella propria dichiarazione.

Quindi, secondo la Cassazione, l'articolo 13 non sanziona il mero omesso versamento. Ma la mancata esecuzione, in tutto o in parte, dei versamenti dovuti dell'imposta risultante dalla dichiarazione del contribuente. Perciò. fanno ancora notare i giudici di legittimità, per l'irrogazione delle sanzioni tributarie relative alla violazione dell'articolo 13 del decreto legislativo 471/1997, non è rilevante che l'imposta dovuta risultasse dalla contabilità della società contribuente.

Quella che era rilevante, secondo il tenore letterale dell'articolo 13, era l'imposta risultate dalla dichiarazione della società contribuente.

Dato che, nel caso di specie, era stato accertato dall'amministrazione finanziaria, e riconosciuto dalla stessa contribuente, un importo dell'imposta inferiore a quello realmente dovuto, tale comportamento integrava la violazione del solo articolo 5 del decreto legislativo 471/1997 per dichiarazione infedele. Di conseguenza, andavano irrogate le sole sanzioni tributarie per tale violazione. Tali sanzioni, spiega la Cassazione, coprono non solo la violazione formale dell'infedele dichiarazione, ma anche il conseguente ed inevitabile mancato versamento dell'imposta dovuta.

Anche perché la contribuente non avrebbe potuto versare altro importo che quello risultante dalla dichiarazione. La conclusione dei giudici di legittimità è, quindi, che non sono ravvisabili due distinte violazioni autonomamente sanzionabili, ma un unico comportamento, al quale non può che essere applicata un'unica sanzione.