Non può certo passare inosservata la notizia di questi giorni che la Foxconn, azienda di proprietà taiwanese, che opera principalmente in Cina, e che produce componentistica elettronica, a costi molto bassi, per aziende di telecomunicazioni come Apple, Dell, Hp, Microsoft, Motorola, Nintendo, Nokia, Samsung e Sony, ha finalmente aperto i suoi cancelli a rappresentanze sindacali non ufficiali, ossia relativamente indipendenti.
In Cina ci sono già da tempo i sindacati ufficiali, ossia espressioni del governo statale, e poi ci sono anche alcuni sindacati non ufficiali, che comunque alla fine sono quasi sempre, in gran parte, espressione più o meno indiretta del management.
Si ricorderà che la Foxconn, ossia la più grande impresa esportatrice della Cina, fu teatro negli anni scorsi, di una sequenza impressionante di suicidi di lavoratori, alienati dalle condizioni disumane in cui si trovavano ad operare. Ora, evidentemente su pressione dei committenti occidentali, intenti a scongiurare eventuali rischi di boicottaggio dei loro prodotti, la Foxconn ha dato l'avvio al suo interno ad un processo di rappresentanza sindacale.
Nell'immediato si può prevedere che questa apertura sindacale e il già avviato processo di incremento
dei salari - +30% negli ultimi 3 anni - contribuirà ad incrementare la domanda interna in Cina.
Ora, non è che si possa pensare che le cose chissà come potranno cambiare nell'immediato, ma la storia ci ha insegnato che anche piccoli cambiamenti, magari anche solo di facciata, potrebbero nel medio - lungo periodo avere effetti e ricadute non completamente prevedibili e gestibili anche da parte di chi ritiene di avere tutto sotto controllo.
Tra gli osservatori che ipotizzano futuri assetti economici e geopolitici, c'è chi immagina che intorno al 2030 costi e condizioni di lavoro in Cina raggiungeranno quelli dei paesi occidentali: e questo dovrebbe comportare anche progressi per la produzione e il lavoro nei paesi occidentali così come nella tutela ambientale.