Come noto, Whatsapp e Facebook sono due piattaforme utilizzate da miliardi di utenti. Un miliardo superato da poco per WhatsApp, ben due miliardi invece per Facebook. La prima è una app di messaggistica molto apprezzata per le sue nuove funzioni. Il secondo, invece, è un Social Network sulla cresta dell’onda ormai da quasi un decennio. Sebbene sia nato nel 2004. Tuttavia, entrambi sono accusati di porre clausole trappola ai loro tanti utenti. A dirlo sono sia Antitrust Italia sia Antitrust Ue. Vediamo perché WhatsApp e Facebook sono accusate di imporre clausole trappola ai loro iscritti.

Le clausole trappola di WhatsApp e Facebook secondo Antitrust Italia

Partendo da casa nostra, l'Antitrust ad oggi guidata da Giovanni Pittruzzella, ha già avviato lo scorso ottobre ben due procedimenti istruttori nei confronti di WhatsApp per presunte violazioni del Codice del Consumo. Motivo? La tanto amata app potrebbe aver costretto i suoi tanti utilizzato ad accettare integralmente nuovi Termini del contratto. Previo avviso, ma senza possibilità di replica. Salvo disuso della app stessa. Tali termini riguarderebbero il condividere dati personali con Facebook. Ancora, alcune clausole sarebbero vessorie, come le modifiche e la recessione in maniera unilaterale del contratto; le parti che riguardano quando il servizio viene interrotto in maniera ingiustificata; il Foro (ad oggi, per contratto, sarebbe un tribunale americano) che compete quando ci sono controversie tra le parti.

Le accuse a WhatsApp e Facebook di Antitrust Ue

Ma anche l’Unione europea, nella persona della Commissaria sulla concorrenza, Margrethe Vestager, non trova del tutto trasparente l’acquisizione da parte di WhatsApp da parte di Facebook. In particolare, la parte che riguarda la possibilità di usare il primo tramite il secondo.

L’Antitrust Ue ha così inviato una “lettera di obiezioni” e sul piatto c'è anche la cifra consistente di ben diciannove miliardi di euro, servita a Facebook per acquisire WhatsApp. Il Social network avrebbe così fornito informazioni non corrette e fuorvianti durante l’acquisizione. Proprio riguardanti la cifra occorsa per l’acquisizione. Rischiando così una multa salata da Antitrust Ue se entro il 31 gennaio non risponde adeguatamente a questa accusa.