Un'emorragia di file personali incontrollata che ha portato alla facile identificazione di un utente: è questa in sintesi la vicenda che potrebbe "rovinare" le vacanze al colosso del'e-commerce Amazon, al centro di un'aspra polemica con protagonista il suo sistema smart di Amazon Alexa e la nostra privacy violata (ancora una volta, in pochi giorni). Per coloro che lo ignorassero, “Amazon Alexa è un assistente personale intelligente sviluppato dalla azienda statunitense Amazon, utilizzato per la prima volta nei dispositivi Amazon Echo e Amazon Echo Dot” come recita Wikipedia.

In sostanza, il centro nevralgico delle future ed ultra tecnologiche “smart home”.

Sogno o son desto?

Ma veniamo ai fatti: un utente tedesco (che chiameremo per comodità “A”) di Amazon ha richiesto alcuni giorni fa al colosso dell’e-commerce tutti i dati relativi alla sua attività sul sito, così com’è previsto dalle nuove normative europee in materia. Due mesi più tardi, il cliente A vede recapitarsi da Amazon un link contenente un file compresso di circa 100 MB. A questo punto, stando alle dichiarazioni rilasciate dall’utente, controllando i file il suddetto user avrebbe trovato quanto da lui richiesto assieme ad un piccolo...extra. Infatti, all’interno del pacchetto sarebbero stati inseriti circa 1700 fra file vocali e documenti in formato PDF che raccoglievano comandi vocali impartiti da un utente anonimo (che chiameremo “B”) ad Alexa.

La particolarità sta nel fatto che il suddetto cliente A...non avesse affatto nessun device che supporti la tecnologia di Amazon.

Com’è naturale che sia, l’utente A ha prontamente contattato il servizio clienti dell’azienda per richiedere spiegazioni. Spiegazioni che, incredibilmente, non sono arrivate. Anzi, dopo alcuni giorni, lo stesso Utente A si è accorto che il link precedentemente inviatogli da Amazon era diventato irraggiungibile.

A questo punto, l’utente A si è rivolto alla webzine tedesca C’T Magazine la quale, oltre ad aver ovviamente divulgato la storia, si è spinta più in là: i suoi giornalisti, infatti, consultando l’estensiva mole di materiale che riguardavano questo misterioso utente “B” intento nell’utilizzare Alexa, sarebbero riusciti nell’intento di profilarlo.

Profilazione latente

In sostanza, con la semplice consultazione del materiale, nella quale comparivano nomi e richieste di varia natura, i cronisti del magazine teutonico sarebbero riusciti a creare un profilo “verosimile” dell’utente B, comprensivo di gusti personali, abitudini di vita ecc. Di lì a poco, con uno sforzo nemmeno così complicato, la redazione del website sarebbe addirittura riuscita a risalire direttamente all’utente B protagonista della vicenda, il quale “visibilmente scosso” avrebbe immediatamente contattato Amazon per sentir lumi sulla vicenda inerente la piattaforma Alexa.

Esplosa pubblicamente la questione, Amazon ha ufficialmente commentato asserendo che “Si tratta di uno sfortunato caso di errore umano ed una stortura isolata.

Abbiamo completamente risolto il problema con i due utenti ed implementato nuove misure per evitare il ripetersi di situazioni spiacevoli”. Naturalmente, al di là delle risposte ufficiali e viste le recenti vicende che hanno coinvolto anche Facebook e Zuckerberg, rei di aver letteralmente venduto informazioni extra-social ad altre aziende di un certo livello negli ultimi mesi, sono molti i quesiti a cui tanti dei grandi nomi del mercato globale devono rispondere e che vertono tutti su di un unico punto: qual è lo scopo della produzione di tecnologia “Smart”? Aiutare gli utenti o raccogliere dati per profilarli commercialmente?

L'uomo "voglio-compro"

La questione è molto seria, anche perché vive e respira su di un paradosso potenzialmente mostruoso: acquistare prodotti che servono a raccogliere informazioni su di noi, al fine di...catalogarci come prodotti.

Della serie, siamo noi i prodotti del mercato futuro. Prodotti delle ricerche marketing, della profilazione commerciale, agnelli sacrificati all’altare della massificazione e semplificazione dei guadagni. È davvero questo il “progresso”? Ridurre e semplificare il singolo individuo ad un sistema elementare “voglio-compro”, mosso da una fame “infinita” d’acquisto? Un feticcio senz’anima capace unicamente di comprare o desiderare di farlo? Ed è davvero questo il fulcro di tutto il processo di “smarting” a cui è costantemente sottoposto il progresso tecnologico a 360°, la “riduzione ai minimi termini commerciali”? In aggiunta, considerando anche l’enorme potere che i colossi del mercato, in ogni settore, possiedono, non è difficile abbandonarsi a previsioni più o meno “apocalittiche”: senza freni o modifiche, è piuttosto semplice pensare ad un futuro costituito da privacy violate come standard e a pubblicità intra-craniche e tormentanti… Insomma, un futuro distopico in stile Blade Runner.

Semplificando allo stremo, ci sono ovviamente due possibili soluzioni concettuali a questo gravoso problema che, in un modo o nell’altro, coinvolge in modi diversi tutte o quasi le grandi aziende trans-nazionali. La prima, più diretta e a muso duro, è il “pugno di ferro” delle istituzioni preposte al controllo del rispetto della privacy: in questo senso, alcune azioni più stringenti sono già state intraprese con l’approvazione del General Data Protection Regulation e la sua entrata in vigore, avvenuta il 25 maggio di quest’anno, il quale ha previsto e prevede sanzioni severissime per tutte le aziende colte in fallo sull’argomento. La seconda soluzione, probabilmente più morbida e conveniente per tutti, sarebbe quella di rendere davvero coscienti gli utenti del proprio “ipotetico” ruolo di profilo commerciale e metterli dinanzi ad un semplice e cristallino quesito: “ci concedi il diritto di raccogliere informazioni personali su di te, con tutti i mezzi possibili in modo da creare un tuo profilo commerciale?”. E, magari, oltre alla totale trasparenza, anche una fetta della torta.