Gli sbarchi dei migranti sulle coste occidentali con tutte le polemiche e le strumentalizzazioni politiche che provocano, fanno dimenticare che dall'africa sono venuti in Europa i figli dell'homo sapiens e l'hanno popolata. Ora che la globalizzazione ha dato i suoi frutti è il momento di rivolgersi al Continente nero con occhi innovativi e studi approfonditi.

Dal Piemonte all'Eritrea

Così ha intenzione di fare Liuba Forte, di madre eritrea e padre italiano. A trentanove anni, l'italoafricana è stata nominata rappresentante nel Consiglio di amministrazione del Centro piemontese di studi africani.

La donna ha fondato una onlus per aiutare donne e immigrati e si è candidata per il Pd in una Circoscrizione di Torino. La sua terra, agli onori delle cronache recenti a Roma per lo sgombero dei profughi, rimase ai margini della colonizzazione novecentesca da parte delle potenze europee. Ora indipendente, è uno dei Paesi africani meno studiato e anche dei più poveri per mancanza di interventi dello Stato in economia.

Da decenni in guerra contro l'Etiopia, per rivendicazioni territoriali, anch'essa nelle mire colonialistiche di Benito Mussolini e anch'essa cristiana, soffre dello scarso intervento dello Stato in economia. A livello di studi internazionali, quello italiano è ritenuto un evento marginale nel generale sconvolgimento africano del Secolo breve.

Tuttavia è indicativo di come In Europa si considerassero inferiori gli africani.

Allora l'Etiopia era povera di risorse naturale, mentre ora traina il rilancio economico dell'Africa con Ghana, Mali, Mozambico, Namibia, Tanzania, Sudafrica. Il Centro di Studi Africani è un polo multidisciplinare per lo studio delle relazioni del Piemonte e dell’Italia in generale, con l'Africa.

Per un serio studio dei suoi problemi e per il suo definitivo rilancio economico organizza conferenze ed eventi culturali, promuove percorsi di ricerca e presenta volumi e pubblicazioni.

In queste pagine, i confini degli Stati vengono concepiti come costruzioni sociali e culturali. Rende difficile il rilancio economico della popolatissima Africa, che tocca gli 850mila abitanti, la cattiva redistribuzione sull'immenso territorio.

Si va dai 4.475 dell'orientale Eritrea ai 18 milioni dell'occidentale Mali, anch'esso democratizzatosi recentemente che alcuni indicano, con l'Uganda, come Paese leader nell'industrializzazione del Continente. Sapranno i "leoni africani" eguagliare le performances delle "tigri asiatiche" (Cina e Giappone)?

Perché questo continente è la grande posta economica, politica, demografica del ventunesimo secolo. Per comprenderlo bisogna tenere conto della pesante eredità coloniale e della competizione politica interna segnata da aspre connotazioni etniche e religiose.

Un caso empirico

Il compito del Centro studi africani piemontese è di monitorare la cultura autoctona in tutti i suoi aspetti e non può perdere il primo appuntamento di Pianeta Africa oggi al Museo del Cinema del documentario "Mali Blues" di Lutz Gregor.

Non si è perso infatti, ieri, la pellicola che era un omaggio alla musica contemporanea del Mali, nella quale si ravvedono le origini del blues e del jazz. Musiche antesignane della globalizzazione che hanno subito spopolato in Occidente.

Testimoniava la loro situazione politica, l'essenzialità della musica per il corpo e lo spirito e come elementi di coesione interna. Dopo il divieto religioso di fare musica quando i musulmani hanno preso il potere nel nord del Paese a fine 2012. "In termini politici, non abbiamo capito nulla. Ma musicalmente penso che abbiamo capito qualcosa”, dice la cantante Fatoumata Diawara.

Parole significative se si pensa che Julius Nyrere, apostolo della nazionalità tanzaniana, faceva del canto e della danza i simboli della "negritude" e dell'indipendenza dopo la riunificazione di Zanzibar con la Repubblica del Tanganica. dopo il dominio del sultano dell'Oman, di tedeschi e di inglesi. Come il Ghana,il Mali, ex Sudan francese, si è visto attribuire la definizione di stato e di impero in epoca post coloniale.