Raffaele Imparato, giovane attore partenopeo (Classe 1991), conosciuto dai fan della serie TV napoletana "Un posto al sole" con il personaggio Ugo Alvini, nell'intervista esclusiva al nostro quotidiano ci racconta della vita difficile dell'attore, del suo rapporto con Dio e dell'amore per la sua città natale, Napoli. Schietto e senza peli sulla lingua, non ama la vita mondana, preferendo lo studio alle distrazioni del suo mondo.
Qual è il segreto del successo ventennale della soap?
Questo occorrerebbe chiederlo agli spettatori più assennati. Io, a causa del mio stile di vita, lo seguo poco ma una mia idea ce l’ho.
In questi anni, credo, che Upas sia diventato parte della tradizione culturale nostrana, ovvero si tratta di un appuntamento “familiare”, che ha avuto l’abilità di entrare, con discrezione e senza pretese, a far parte della routine di tante persone. Non solo i bambini vivono le abitudini come momenti rassicuranti, anche noi adulti vogliamo degli appigli quotidiani nei quali abbandonarci, soprattutto dopo una giornata impegnativa, secondo me.
Napoli è davvero un posto al sole?
Personalmente m’infastidiscono le banalità e i luoghi comuni e, non vorrei io stesso inciamparvici dentro; un popolo non deve convincere nessuno della stupidità delle generalizzazioni(...) fatevi una “bella passeggiata” dentro Napoli, anche metaforica e, soprattutto, fatevela con una buona curiosità e disponibilità d’animo e vi aiuterà a schiarirsi le idee infinitamente meglio del leggere eventuali mie parole.
È più innamorato nella fiction o nella vita reale?
Mi mettete in difficoltà...Dipende! Del Teatro io. Della Boxe Ugo. Se il riferimento è, invece, alla vita sentimentale non lo so: credo che Ugo ami Cristina e quindi, probabilmente è più innamorato lui. Di sicuro, però, sono più passionale e creativo io.
Cosa pensa del ruolo sociale dell'attore?
Un attore può, da solo, dare vita a quel rituale irripetibile che è il Teatro, laddove una compagnia di 50 elementi fallisce. Non penso si possa prescindere dal ruolo sociale dell’Attore se si vuole avere l’ardire di affermare che si stia facendo “Teatro”. Ovviamente, non esistendo un albo per gli attori, anche chi è lontano anni luce dal sentire una responsabilità verso il pubblico in termini sociali viene considerato attore ma, fortunatamente, ho incontrato professionisti che incarnano perfettamente questo spirito di urgenza comunicativa verso la collettività e sono diventati per me, ormai, dei punti di riferimento molto saldi e, quindi, credo che si tratti di una forma mentis che difficilmente mi abbandonerà.
Il suo rapporto con Dio?
Ho un rapporto con la spiritualità abbastanza intimo, abbastanza “anarchico” ma anche abbastanza intenso e costante. Personalmente do valore alla preghiera, intesa come dialogo sincero con il proprio “credo” per riprendere contatto con il meglio di noi, non di certo per spostare la traiettoria di un missile o fermare il dito di un cecchino. Mi fa rabbia la presunzione di chi brandisce la propria religione come più Vera delle altre. È una follia e una vergogna. Penso che nessuno sappia realmente come stanno le cose.
Chi conosce il suo percorso artistico, sa bene dei suoi anni di formazione con dei mostri sacri del teatro, quali Imma Villa e Carlo Cerciello. Quanto sono stati importanti nella sua crescita?
Il Teatro è l’unico rituale, e quindi sacro, in cui l’Uomo può portare alla collettività le proprie istanze, senza mediazioni e attraverso il potere affabulatorio della bellezza e la suggestione della poesia in un gioco di finzione dichiarato e quindi onesto; finché ci sarà questa necessità comunicativa, esisteranno attori in grido di dar vita al Teatro. Carlo e Imma sono l’esempio vivente di tutto questo, con il loro rigore scientifico, coerente, incantevole e con il loro instancabile entusiasmo.
Progetti futuri?
Studiare, studiare, studiare e laurearmi.