Il gruppo musicale degli Stolen Apple è una creatura partorita dai Nest, band attiva fino al 2008. Il loro nome, che significa "mela rubata", viene da un racconto teatrale di Marco Paolini, che ha voluto ricordare Ernst Lossa, bambino ucciso a 14 anni dai tedeschi nell'ambito di un programma di recupero degli individui non autosufficienti. Ernst rubava le mele e le offriva ai bambini rinchiusi nel sanatorio: un gesto di coraggio che la band ha voluto ricordare. Abbiamo intervistato i membri della band per saperne di più.

Parlateci un po’ del vostro background artistico.

Da sempre amiamo il punk, il noise, le ballate country, lo psycho-pop, e la musica dei grandi compositori d'orchestra italiani. Ascoltare di tutto è sempre stata nostra prerogativa, adesso ci attrae il rock tradizionale contaminato da echi afro americani e blues più spinto.

A quale panorama musicale vi sentite più vicini e come definireste la vostra musica?

Non esiste un panorama attuale a cui ci sentiamo più vicini. Non è snobismo, né complesso di superiorità, ma consapevolezza che il mondo che ci circonda ci appartiene sempre meno, rispetto alla nostra intima e personale visione. La nostra musica è assolutamente Stoleniana.

Avete scelto un titolo forte per il vostro album, Trenches: qual è la motivazione?

Stiamo vivendo un momento di transizione generale, nel quale non sappiamo bene come andrà a finire. Dentro questo limbo d'attesa, rintanandoci nelle trincee dell'anima, cerchiamo una risposta alle nostre vite. Ma il titolo richiama soprattutto le fragilità dell'uomo, legate alle insicurezze del nostro tempo ed alla precarietà quotidiana.

Proprio da questo smarrimento comune che stiamo vivendo, ogni rinascita può tornare esclusiva, riportando l'individuo ad una nuova realtà. Ma senza il rispetto e la preservazione dei valori, non potremo mai tornare ad essere grandi. Noi crediamo che la fragilità, e come logica la resistenza, vadano difesi a tutti i costi

Fino ad ora siete riusciti a proporre la vostra musica dal vivo?

Quali sono state le esperienze live più belle?

Dal vivo è sempre bello, perché ogni volta ti misuri con persone diverse. Ricordiamo con piacere il live dove abbiamo aperto la serata a Dan Stuart, frontman dei Green On Red (band americana degli anni'80 e fautori di quel 'paisley underground' a cui qualcuno ci ha associato). Conoscere Dan, che dopo il nostro live ci ha fatto un grande complimento dicendoci "never play after a rock show", è stato emozionante.

Mi ha incuriosito l'artwork del disco: cosa rappresenta l'immagine in copertina?

E' una foto che ha scattato Francesco, figlio di Riccardo Dugini (voce e chitarra), perfetta per il disco, una visione 'didascalica' legata al titolo: paesaggio vagamente freddo, come un panorama dopo una guerra, nuvole di passaggio minacciose, silenzio irreale, un palo della luce che resiste alle intemperie.

Il disco è uscito da un po’ di tempo. Avete fatto un primo bilancio per capire come sta andando?

Non conosciamo il risultato delle vendite, ma ci ha reso orgogliosi la reazione della critica, che ha condiviso la nostra dedizione alla spontaneità del suono. Ciò può aver fatto del disco un'opera un po' 'out of time' ed imperfetta, ma intrisa di impulsi e di percezioni suggestive.

Che consigli daresti a una giovane band?

Quando abbiamo iniziato a suonare era l'entusiasmo che la faceva da padrone. E' importante non perderlo mai. La musica deve essere dettata dalla passione, e dalla gioia di suonare. Inoltre, se nasce un'idea che non combacia con il resto del mondo, non bisogna abbandonarla: essere se stessi e crederci è la base della felicità artistica.

Che progetti avete per il futuro?

Alcuni appuntamenti dal vivo, come Circus a Scandicci e Progresso a Firenze, e altri in studio e nelle radio; inoltre stiamo continuando a scrivere nuovi brani, con la stuzzicante idea di sperimentare - in un futuro prossimo - testi in italiano.