Dopo una giornata, quella di ieri, scandita da migliaia di arresti, che hanno coinvolto tutti i settori dello Stato, Recep Tayyp Erdogan, in serata, ha proclamato in diretta da Ankara, attraverso il canale Al Jazeera, lo stato d'emergenza per tre mesi. L'intento è palese: potere assoluto al governo turco e ad Erdogan, in base all'articolo 120 della Costituzione turca, dopo il golpe scongiurato. Questo provvedimento, cui fa riscontro il crollo della moneta turca nel confronto con il dollaro, è una legittimazione aperta del raid punitivo voluto dal leader turco.

Erdogan non si ferma nella sua sete di potere e, infischiandosene dei 'buoni rapporti' internazionali, così faticosamente costruiti, si scaglia contro i paesi dell'Ue, rei di aver ignorato troppo a lungo il suo Stato. 'Per 53 anni abbiamo bussato alle porte dell'Unione europea e ci hanno lasciato fuori, mentre altri entravano. Se il popolo decide per la pena di morte, e il Parlamento la vota, io la approverò'. Questa la dichiarazione rilasciata in televisione a una Nazione che, ormai, preoccupa per i suoi atteggiamenti di odio nei confronti di Gulen e per il ritrovato integralismo islamico (si parla infatti del ripristino dell'obbligo del velo per le donne). Appare manifesta la svolta decisamente anti-democratica, ancor più preoccupante in un momento come questo, così critico per l'Occidente.

Erdogan parla di voto e volontà parlamentare, ma non può esservi un confronto democratico in un Parlamento in cui è schiacciante, in termini numerici, la prevalenza dell'Akp, partito fondato dal leader turco nel 2001. E quanto all'attendibilità della magistratura, decimata dalle migliaia di arresti, in caso di approvazione della pena capitale, c'è molto da riflettere.

Nessuno può darci lezioni

Questa la risposta del 'Sultano' ai paesi dell'Occidente (specie la Francia), che rivolgono appelli continui a una maggiore moderazione e al rispetto dei diritti umani, anche di chi è agli arresti. Non dobbiamo dimenticare infatti la triste realtà delle carceri turche, dove la tortura è la crudele consuetudine e il fetore delle celle si accompagna allo scenario desolante di uomini ridotti allo stremo!

Ma Erdogan prosegue nel suo piano di epurazione. Esige l'estradizione di Gulen, dichiarando di aver fornito agli Stati Uniti le prove inoppugnabili della sua colpevolezza (ben quattro dossier inviati a Washington). E, tra dichiarazioni rassicuranti nei confronti dell'America e oscure minacce, in un'altalena contraddittoria di affermazioni, continua a sbandierare il ruolo, molto discutibile, del suo Stato nella Nato.