L’argomento è di stretta attualità, ma rischia di finire presto in cavalleria, poiché l’Italia è un paese bigotto e conservatore. Il peso della morale incombe e anche le operazioni di “aggiornamento” della società civile rischiano spesso di tradursi in mere campagne pubblicitarie: come dire, tanto fumo e poco arrosto. Succede anche per questioni più rilevanti, dal lavoro all’economia, passando per scuola e diritti; ma anche quella della legalizzazione delle droghe leggere è una questione che fa da specchio fedele circa lo stato del dibattito politico in Italia.

Il Parlamento discute la proposta di legge presentata da oltre 200 onorevoli di vari schieramenti; da fuori si osserva e si commenta. L’ultima uscita, quella del presidente dell’Anticorruzione Raffaele Cantone, rischia di restare l’ennesima voce fuori dal coro dei benpensanti, non lungimiranti. Senza contare che l’iter parlamentare ha davanti a sé un percorso a dir poco arduo: è atteso da più di 1700 emendamenti.

Una proposta, cento reazioni

Da contrario a favorevole, o possibilista. Raffaele Cantone ha cambiato ideae si è inserito sulla scia del procuratore antimafia Franco Roberti, il quale a inizio luglio è sceso in campo appoggiando le ragioni dell’antiproibizionismo. Il paese che, stando proprio alle stime della direzione antimafia e antiterrorismo, conta 3 milioni di consumatori abituali e un giro di circa 1,5 tonnellate di cannabis all’anno ha un mercato in mano alle organizzazioni criminali e non trova deterrenti per invertire la rotta.

Ora ci sono 220 deputati che sostengono una nuova proposta di legge, ma il coro dei contrari è ben organizzato e capace di spostare il tema della legalità su altri fronti, soprattutto quello della repressione. La proposta in corso di discussione in Parlamento è nata nel marzo 2015, su iniziativa del sottosegretario agli Esteri del governo Renzi Benedetto Della Vedova (ex radicale, ora in Scelta Civica), sostenuto da un gruppo di deputati formati da appartenenti a Pd, Sel M5S e gruppo misto.

Contraria l’area del centro-destra. L’obiettivo è la legalizzazione dei derivati della cannabis, con facilitazioni tanto per le finalità terapeutiche che per quelle ricreative. Cosa cambierebbe? Diventerebbe legale la detenzione entro i quindici grammi di marijuana nella propria dimora (entro cinque fuori), ove sarebbe anche consentita la coltivazione per un massimo di cinque piante di cannabis; nascerebbero inoltre associazioni non lucrative autorizzate a coltivare marijuana e negozi ammessi alla vendita con un sistema di imposte affine a quello vigente per il tabacco.

Come funziona oggi in Italia?

Attualmente, dopo l’eliminazione della legge Fini – Giovanardi (che in pratica equiparava droghe leggere e pesanti ed è stata dichiarata incostituzionale nel 2014), in Italia si è tornati indietro ormai di 26 anni, cioè alla legge Jervolino – Vassalli del 1990, con successive modifiche. Le droghe leggere sono illegali, ma è depenalizzato l'uso personale (persistono sanzioni amministrative che vanno dalla sospensione di patente di guida, porto d’armi, passaporto e permesso di soggiorno per periodi variabili), mentre è legale, a certe condizioni, l'utilizzo per scopi terapeutici; per lo spaccio di basse quantità, inoltre, possono essere stabilite pene alternative alla custodia cautelare.

Per quanto riguarda l’uso terapeutico, esistono normative regionali e locali, con la Puglia che ha fatto da apripista nel 2010, sotto la presidenza di Nichi Vendola; in questa regione l’erogazione della marjuana per scopi terapeutici è a carico del servizio sanitario; nel 2012, Toscana e Liguria hanno compiuto lo stesso passo di autorizzare l’uso della cannabis per finalità di cura; i successivi sviluppi, a livello nazionale, risalgono al 2016, anno in cui sono stati depenalizzati i reati di coltivazione media autorizzata e violazione delle procedure.