La rilevazione di una scossa tellurica di 6.3 gradi della scala Richter, inizialmente ricondotta a un terremoto, con epicentro nelle province settentrionali della Corea del Nord – quelle confinanti con la Russia Asiatica, oltre che con la Cina – hanno annunciato al mondo che Pyongyang prosegue nella sperimentazione di ordigni nucleari.

Dopo sole 24 ore, la TV statale coreana ha confermato l’avvenuto esperimento sotterraneo (il sesto della nazione guidata dal dittatore Kim Jong-un), comunicando che, stavolta, la detonazione riguardava una bomba all’idrogeno da utilizzarsi per armare la testata di un supermissile intercontinentale.

Già nel gennaio 2016, la TV coreana aveva annunciato la sperimentazione di una bomba H, ma la notizia era stata accolta come una “boutade”, in Occidente.

La Corea del Nord, quindi, non ferma affatto, né rettifica la sua linea provocatoria contro gli “stati capitalistici” vicini (Corea del Sud e Giappone) e, soprattutto, verso gli Stati Uniti, dopo che, solo cinque giorni fa, un missile lanciato da una base a est della capitale Pyongyang, ha attraversato lo spazio aereo giapponese ed è finito in mare, sia pur disintegrandosi in tre pezzi.

Ciò, secondo il diritto internazionale, costituisce già un atto di guerra contro il Giappone, anche se il quinto di una serie che potrebbe continuare all’infinito.

Tale missile, tuttavia, secondo alcune analisi, sarebbe stato il primo in grado di trasportare una testata nucleare e, quindi, l’esplosione attuale rappresenta la naturale evoluzione di una linea aggressiva che sembra portare direttamente ad un attacco missilistico nucleare da parte di Pyongyang.

Reazioni della comunità internazionale

Il Giappone che, dopo l’azione missilistica del 28 agosto, si trova già in stato di “allarme rosso”, ha rilevato che la detonazione è dieci volte più forte della precedente e cinque volte più distruttiva della bomba al plutonio lanciata dagli USA il 9 agosto 1945 su Nagasaki. Il premier Abe ha quindi definito l’esperimento “assolutamente inaccettabile” per la sicurezza del paese.

Se all’indomani del lancio missilistico di cinque giorni fa, l’unico paese ancora formalmente alleato con Kim Jong-un, e cioè la Cina Popolare – con tutta probabilità, colei che ha fornito a Pyongyang la tecnologia nucleare necessaria per entrare nel “club atomico” – si era limitata a criticare l’azione militare, invitando le parti in causa all’autocontrollo, ora Pechino ha “condannato con forza” la nuova alzata di muscoli nord coreana.

Il presidente cinese Xi Jinping, inoltre, si è incontrato con Vladimir Putin, a latere della riunione tra i paesi del BRICS (le economie emergenti di Brasile, India, Cina, Russia e Sudafrica) che si sta tenendo a Xian ed ha concordato con il Presidente russo la necessità di perseguire l’obiettivo della denuclearizzazione della penisola coreana, mantenendo relazioni di comunicazioni e di coordinamento tra loro.

La Corea del Sud ha alzato il suo stato di allarme e ha dichiarato l’intenzione di chiedere ulteriori aiuti militari agli Stati Uniti, annunciando, altresì, di voler presentare al più presto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, la richiesta di ulteriori sanzioni nei confronti di Pyongyang.

Trump sconta le contraddizioni della sua politica transpacifica

Anche gli Stati Uniti hanno annunciato di presentare analoga richiesta al consiglio di sicurezza; per il resto, tuttavia, le reazioni del presidente Trump sono state scomposte come suo costume ma affidate a un semplice tweet, dove si definisce la Corea del Nord “uno Stato canaglia”, con il quale il dialogo non funziona, perché capisce solo la forza.

Donald Trump ha però convocato sulla questione il Consiglio di sicurezza nazionale, le cui decisioni non sono ancora state diffuse. Ha inoltre dichiarato che Pyongyang sta diventando fonte di serio imbarazzo per la Cina che non riesce a tenerla sotto controllo.

In realtà, a nostro parere, l’imbarazzo è tutto del Presidente statunitense, che si è fatto eleggere grazie a una campagna elettorale protezionista nei confronti dell’economia cinese e ha continuato, in questi otto mesi a provocare Pechino in ogni modo. Poi è riuscito anche a mettere in crisi le sue relazioni con Putin – che sembravano ottime – ed anche con l’ Unione Europea. Oggi, tra le superpotenze, gli Stati Uniti sono quelli più isolati diplomaticamente mentre il mondo rischia un conflitto nucleare.