Il traguardo è stato raggiunto negli Stati Uniti da uno scienziato di nome Craig Venter che da venti anni lavora alla creazione della vita artificiale. Secondo Bruno Dalla Piccola, genetista, l’importanza del risultato ottenuto è molto grande. La novità è quella di aver dimostrato quale sia il numero minimo di geni, un po’ meno di 500, sufficienti per creare in laboratorio la vita, il che vuol dire la struttura vitale in grado di sopravvivere, dividersi e da una struttura farne due. Riprodursi, in parole semplici. Gli esperimenti sono importanti sia per una conoscenza biologica di base, sia anche per arrivare a produrre qualche cosa di più complesso, ad esempio proteine utili per curare malattie, o per togliere l’inquinamento da petrolio nel mare.

Si tratta quindi di applicazioni pratiche.

Si può parlare di vita artificiale?

In effetti si tratta di una struttura vitale unica perché la sequenza che le è stata data in laboratorio è unica. Non è una vita creata completamente, poiché si avvale di qualcosa di preesistente, ovvero un batterio al quale è stato eliminato il Dna e del quale è stato utilizzato l'involucro per creare la nuova forma di vita. Quindi il batterio era già esistente ma il Dna che gli è stato inserito è stato creato artificialmente, una sequenza unica completamente nuova.

Si chiama Syn 3.0 ed ha 473 geni. Riguardo la genomica, occupa l’ultimo gradino per quanto riguarda il numero di geni. In vetta non c’è però l’uomo, ma un raro fiore giapponese, la ‘Paris japonica’ che ha 50 volte più Dna degli esseri umani.

Il Syn 3.0 ha solo 473 geni e ne ha di meno di qualsiasi organismo vivente. Per togliere la curiosità, noi ne abbiamo tra i 31000 ed i 37000, a seconda dei vari progetti di mappatura genomica che se ne stanno occupando.

Il nuovo batterio è riuscito a replicarsi, considerando che i suoi pochissimi geni possono solo permettergli di sopravvivere e riprodursi.

Ma questa è la base sulla quale verranno effettuati ulteriori esperimenti, consistenti nell’aggiunta via via di nuovi geni uno per volta, per studiare gli effetti che tali aggiunteprovocheranno.

Mercoledì scorso Venter, fondatore del J. Craig Venter Institute di San Diego, ha affermato in una conferenza stampa ‘Abbiamo deciso che l’unico modo per rispondere alla domande fondamentali sulla vita era quello di arrivare ad un genoma minimo, e che probabilmente l’unico modo per farlo era quello di cercare di sintetizzare un genoma, e su questo è stata basata la nostra ricerca cominciata venti anni fa’.