Il 27 gennaio, dedicato alla memoria delle vittime della follia nazista, è trascorso da qualche giorno. Sono trascorsi 72 anni da quando le truppe sovietiche oltrepassarono i cancelli di Auschwitz, rivelando al mondo l'orrore dei campi di sterminio. Arpad Weisz fu uno dei tanti ebrei, circa 1 milione nella sola Auschwitz a fronte dei quasi 6 milioni complessivi, uccisi nel più tristemente celebre tra i lager predisposti dal Terzo Reich. Quello di Weisz è un nome famoso, legato a doppio filo con la storia del calcio italiano degli anni '30. Ma la sua tragice fine fu dimenticata per oltre 60 anni, fino al 2007, quando il giornalista Matteo Marani ricompose i pezzi del mosaico e ne raccontò per la prima volta la parabola dal triste epilogo nel libro "Dallo scudetto ad Auschwitz".

I trionfi con Inter e Bologna

Nato a Solt, nell'Ungheria meridionale, nel 1896, era figlio di ebrei-ungheresi. In patria fu un'ala sinistra di buon livello, tanto da guadagnarsi la convocazione in Nazionale per il Torneo Olimpico di Parigi del 1924. Nello stesso anno approdò in Italia, nelle file dell'Alessandria. La stagione 1925/26 disputata con l'Inter fu la sua ultima da calciatore. Nel 1926 iniziò la sua carriera da tecnico come secondo sulla panchina dell'Alessandria ma lo stesso anno venne chiamato dall'Inter come primo allenatore. A lui è legato il terzo scudetto del club milanese, ottenuto nella stagione 1929/30, il primo ad essere assegnato al termine di un campionato a girone unico.

Nella squadra nerazzurra, che allora aveva assunto la denominazione di Ambrosiana, era appena esploso il talento di Giuseppe Meazza. La sua esperienza a Milano si chiuse nel 1931 ma riprese l'anno successivo, con in mezzo una parentesi al Bari che guidò alla salvezza in serie A nella stagione 1931/32. Lasciata poi definitivamente l'Ambrosiana-Inter nel 1934, allenò il Novara in serie B e, successivamente, il Bologna con il quale vinse altri due scudetti nelle stagioni 1935/36 e 1936/37, oltre al Torneo dll'Esposizione Universale di Parigi del 1937 (4-1 in finale agli inglesi del Chelesa).

A causa delle leggi razziali promulgate dal regime fascista nel 1938, Arpad Weisz fu costretto a lasciare prima il lavoro e poi l'Italia. Visse a Parigi per un breve periodo e poi si trasferì in Olanda con la moglie Ilona, anche lei ebrea-ungherese, ed i due figli Clara e Roberto. Nei Paesi Bassi proseguì ad allenare con ottimi risultati il Dordrecht, nella massima serie olandese.

La deportazione, la morte, il lungo oblio

Quando i tedeschi occuparono l'Olanda nel 1942, Arpad Weisz venne deportato con la sua famiglia a Westerbork. La moglie ed i figli furono trasferiti ad Auschwitz dove saranno passati per le camere a gas. L'ex tecnico dell'Inter viene invece assegnato ad un campo di lavoro nella zona dell'Alta Sesia, fino al 1944. Sarà poi deportato ad Auschwitz ed ucciso in una camera a gas, insieme ad altri prigionieri, il 31 gennaio del 1944. La sua storia sarà dimenticata, a parte il suo nome che resta indelebile negli almanacchi calcistici italiani. Nel 2007 Matteo Marani la riporterà alla luce ed a seguito del suo libro saranno organizzate una serie di commemorazioni da parte delle squadre che aveva condotto alla vittoria nei lontani anni '30.

Targhe dedicate alla sua memoria sono state scolpite allo stadio Dall'Ara di Bologna, al "Meazza" di Milano ed al "Piola" di Novara. Due anni fa anche la città di Bari gli ha dedicato una via nella zona dello stadio San Nicola. Oggi ricorre il 73esimo anniversario della sua morte: dai trionfi calcistici alla deportazione, fino alla tragica fine. Arpad Weisz bendetto dagli Dei del pallone, condannato dall'oscurantismo dell'uomo. Una vita spezzata come tante, scritte in una pagina nera della Storia. La Giornata della Memoria è trascorsa ma in fin dei conti non serve una 'Giornata' per ricordare ciò che non deve finire più nell'oblio.