La TIM Cup ormai volge al suo momento clou e, a differenza di quanto capitato negli anni passati, le big tendono a non snobbare più la competizione, vuoi perché la formula è stata rinnovata e snellita negli ultimi anni, vuoi per il minor numero di posti in Europa che offre il campionato e vuoi perché, con una Juventus così, l'unica chance di alzare un trofeo passa proprio dalla Coppa. Ieri sera al San Paolo si è giocato il primo quarto di finale, che, come sempre quando ci sono Napoli e Fiorentina in campo, ha offerto moltissimi spunti sotto il profilo tattico.
Gli schieramenti
Come detto, nessuno snobba più la competizione e quindi la sfilza di panchinari a cui eravamo abituati in passato, lascia il posto ad una starting line-up di titolari (o quasi), dove Sarri (squalificato e quindi costretto ad accomodarsi su in piccionaia dove un pacchetto di sigarette se n'è andato che è una bellezza, ndr) dà la chance dal primo minuto a Leonardo Pavoletti, il bomber appena acquistato dal Genoa, il vero 9, al posto di Mertens. Per il resto la formazione annunciata, con il classico 4-3-3 in cui si rivede Maksimovic tra i titolari. Paulo Sousa deve fare a meno del capitano Gonzalo ma non rinuncia al suo modulo camaleontico che varia a seconda delle situazioni di gioco.
Ufficialmente sarebbe un 3-4-2-1 con Kalinic unica punta, supportato da Bernardeschi e Cristoforo. Come detto, il modulo nelle squadre allenate dal portoghese è un mero dato informativo, abbiamo visto in più di un'occasione la difesa diventare a 4 con Astori e Tomovic centrali, Sanchez a destra e Maxi Oliveira a sinistra. Questo perché, nelle intenzioni del tecnico della Fiorentina, c'era la volontà di avere sempre due uomini a coprire sugli esterni, per non concedere mai l'uno contro uno ad Insigne e Callejon.
Nei primi 20' sono stati i viola ad essere più incisivi, in particolar modo con la sgroppata di Chiesa, ben neutralizzata da Reina. In fase propositiva infatti, erano quattro i giocatori ad agire alle spalle di Kalinic; Bernardeschi, col suo costante svariare, Chiesa sull'out di destra, Cristoforo a rimorchio, ma a turno anche uno tra Badelj e Vecino (più quest'ultimo per la verità, a formare una sorta di 4-1-4-1).
La riscossa dei piccoli
Dal canto suo, la squadra condotta per l'occasione in panchina da Calzona (piccola nota di colore, le orribili autoreggenti nere indossate per l'occasione dai giocatori partenopei), l'introduzione dell'attaccante di peso, non ha reso granché. Del resto non è facile riadattarsi dopo mesi in cui i tre piccoli là davanti hanno fatto così bene, ma è altrettanto vero che con Higuain prima e Milik poi, i gol sono arrivati ed in grande quantità, per cui è solo questione di tempo. Resta il fatto che, con Pavoletti in campo, le occasioni più pericolose sono arrivate da palla inattiva (vedi i due legni colpiti da Insigne) e mai con lo spunto del centravanti che ha avuto una sola chance nel primo tempo, ma favorito dal fatto che Astori era rimasto infortunato dentro la porta di Reina che gli aveva appena negato la gioia del gol.
Sontuosa la prova dei due esterni azzurri, a fine primo tempo erano già finiti sul taccuino dell'arbitro Doveri i 3/4 della retroguardia viola, l'en plein si è avuto al 62' con il giallo all'ultimo superstite, Tomovic. Al 64' entra Mertens e la partita gira definitivamente: la Fiorentina, già fiaccata, non riesce più a contenere le scorribande azzurre e capitola dopo soli 7'. Hamsik si inserisce, riceve da Insigne e pennella per Callejon che si inserisce tra centrale ed esterno (grave colpa di Maxi Oliveira che lo perde), e fulmina Tatarusanu, fin lì migliore dei suoi. Il gol è emblematico, con Pavoletti in campo, il livornese si sarebbe piazzato in mezzo ai due centrali, che avrebbero avuto vita facile nel gestirlo, ma soprattutto avrebbe tolto lo spazio per l'inserimento dello spagnolo, che invece ha visto l'autostrada spalancarsi dinanzi a sé, ha premuto l'acceleratore ed ha portato il Napoli in semifinale.