Garibaldi ci è riuscito con 1000 uomini, ma c'è un uomo, un singolo uomo, che ci è riuscito con un pallone. Il suo nome è Roberto Baggio, la sua squadra: l'Italia. Ha girato molti club il divin codino, dal piccolo Vicenza alla Fiorentina, poi a tavola con i più grandi, lui che era il più grande di tutti. Juve e poi Milan, il primo pallone d'oro e la prima staffetta con Del Piero, poi il passaggio al diavolo per sostituire nel cuore dei tifosi tale Van Basten, appena ritiratosi dall'attività agonistica dopo due anni di stop per infortunio.
E' l'Italia che rinuncia alla fantasia in nome della tattica, i fantasisti sono come maghi e la magia si basa sull'intuizione e sull'improvvisazione, due cose invise nell'Italia sacchiana del 4-4-2.
Proprio l'arrivo di Sacchi e, dopo, di Capello, costringe Roberto Baggio a trasferirsi, non al Parma, dove Carlo Ancelotti si oppone al suo arrivo per i motivi di cui sopra (ma se ne pentirà pubblicamente, dichiarando di aver capito solo dopo che i campioni non sono mai un problema), ma al Bologna dove arriverà a segnare 22 goal in un solo campionato.
Anche a Bologna c'è un allenatore che predilige la tattica e soprattutto la corsa, Renzo Ulivieri, che racconterà di aver litigato persino con sua madre per non aver fatto giocare Baggio, "Non mi preparò la cena ed era stizzita, quando le chiesi spiegazioni mi disse che era perché tenevo Baggio in panchina". Dopo il Bologna andò all'Inter dove formò una coppia da sogno con Ronaldo, anche se si vide poco a causa degli infortuni di entrambi.
All'Inter arrivò Lippi e tra i due non sbocciò nulla che somigliasse all'amore, anzi.
E allora il divin codino scese di nuovo tra i mortali ed andò a Brescia, dove incontrò un allenatore all'antica, tale Mazzone, che non ci pensò minimamente a metterlo in panchina o a chiedergli di correre. Il giorno che si ritirò Roberto Baggio si alzarono tutti in piedi, in tutti gli stadi italiani e molti anche a casa (chi scrive lo fece), un lungo applauso e qualche lacrima per salutare l'uomo che aveva unito l'Italia a colpi di genio e di classe.
Sì, perché l'unica vera maglia di Roby è quella della nazionale, indossata in 3 edizioni del mondiale (e ancora in molti ce l'hanno con Trapattoni per non averci regalato un quarto mondiale con Baggio nel 2002).
La festa di Italia 90, poi quel maledetto calcio di rigore in finale con il Brasile nel 1994 (ma fino a lì ci aveva portato lui ed è giusto sottolinearlo) e infine la staffetta in Francia con Del Piero, ancora lui.
Dal nord al Sud tutti sognavamo che Baggio non smettesse mai, anche se il codino si tingeva di bianco e gli infortuni diventavano sempre più frequenti. Le dita dei genitori indicavano quel 10 sulle spalle di Baggio ai propri figli: "Altro che Garibaldi, questo sì che ha unito l'Italia". Buon compleanno Roby e grazie di tutto.