Il tempo degli alibi è finito da un pezzo, ma è una chiara ed abusata abitudine italica tirarli fuori anche nei momenti in cui ci sarebbe solo da guardare avanti. La sconfitta in Svezia è immeritata, ciò la dice lunga sul livello complessivo di una gara che sarebbe stata la fotografia ideale di uno 0-0 senza quella ciabattata priva di pretese che ha trovato una deviazione fortuita, con il pallone finito alle spalle di Buffon. Nemmeno questo è un alibi, l'Italia non ha fatto nulla per vincerla, gli scandinavi di contro hanno tirato fuori un agonismo eccessivo con alcuni interventi che meritavano certamente sanzioni più severe.

Con questo non vogliamo dire che la gara è stata condizionata dall'arbitraggio: ogni direttore di gara ha il suo metro e quello di Cuneyt Cakir è stato un pò troppo all'inglese, tanto per usare una vecchia definizione. Il fischietto turco è stato accusato di 'timore' nei confronti dell'infuocato ambiente di Solna, in realtà gli unici timorosi della situazione sono stati i giocatori italiani che hanno subito l'aggressività degli avversari senza alcuna reazione, dando l'impressione, sovente, di tirare indietro la gamba ed andare giù al primo contatto. La Svezia ha mostrato pesanti limiti tecnici ed ha cercato di colmare il gap mettendo la partita sui binari dell'agonismo puro, sfiorando atteggiamenti da rissa.

L'Italia non brilla certamente sotto il profilo della qualità, negarlo sarebbe un esercizio di autolesionismo. Però anche dal punto di vista caratteriale ha mostrato preoccupanti crepe, in certi frangenti è sembrata addirittura remissiva, quasi ad accontentarsi di una sconfitta di misura che domani sera a Milano potrebbe essere facilmente ribaltabile.

Chiaramente battere con due o più gol di scarto questa Svezia non sarebbe da considerare un'impresa, se gli azzurri non ci riescono semplicemente non meritano di andare ai Mondiali. Diventa però una missione difficile alla luce di giocatori senza alcuna grinta e di un CT in stato confusionale permamente.

Ventura non è l'unico responsabile

Tifosi e stampa hanno già predisposto il patibolo, Giampiero Ventura è recluso in un simbolico 'braccio della morte' calcistico. Le sue colpe sono state evidenti in quella che, a tutti gli effetti, era la gara più importante. L'umiliante sconfitta di Madrid contro la Spagna dello scorso settembre è figlia dell'evidente superiorità degli iberici, ma anche di un modulo sciagurato con cui il CT ha mandato al suicidio la sua 'Armata Brancaleone'. Molti addetti ai lavori continuano ad evocare lo spettro di quella prestazione che avrebbe innescato una sorta di blocco psicologico ai nostri giocatori. In realtà non è stata la dura sconfitta in terra di Spagna a condizionare un gruppo che, per la verità, non ha esaltato in nessuna delle gare di qualificazione, quanto la consapevolezza ed il peso di doversi giocare tutto in due gare da 'dentro o fuori'.

Si sente ripetere come un disco rotto che Antonio Conte aveva più o meno lo stesso gruppo dal quale ha tirato fuori il meglio: per certi versi è vero, ma quella Nazionale in cui molti effettivi sono ancora in squadra non rischiava di entrare nella storia dalla parte sbagliata. Termini come 'apocalisse', 'disastro', 'fallimento' sono oggi dietro la porta e, probabilmente, rappresentano una di quelle paure che bloccano le gambe. Fermo restando che la Nazionale di oggi è probabilmente la peggiore di sempre sotto l'aspetto della cifra tecnica complessiva, non si spiegano comunque le metaformosi di giocatori come Verratti (in Nazionale è sempre stato un brutto anatroccolo), Candreva ed Immobile, decisivi con i propri club ed assolutamente impalpabili in Svezia.

Altro discorso per Leonardo Bonucci, davvero sull'orlo di una crisi di nervi a causa del suo catastrofico inizio di stagione con il Milan: se vogliamo essere amaramente ironici, almeno lui è costante. Le ultime notizie lo danno titolare nella decisiva gara di San Siro, nonostante la frattura al setto nasale: una mossa un pò alla Enrico Toti che non ci sembra assolutamente una buona idea. Caso Bonucci a parte, il rendimento di quelli che dovrebbero essere i giocatori chiave è scadente e non possiamo incolpare esclusivamente Ventura per questo.

I possibili cambi in vista del 'Meazza'

Ad ogni modo il 3-5-2 'contiano' non ha dato i frutti sperati e considerato che contro la Svezia si possono fare troppe alchimie tattiche, a meno di restare davvero a casa il prossimo anno, urgono dei cambi.

Lo squalificato Verratti non ci sarà, alla luce del suo scarso rendimento in azzurro non è una grossa perdita e, probabilmente, l'assenza del centrocampista del PSG potrebbe spingere Ventura a schierare dal 1' l'atteso Jorginho. A questo punto il CT ha il dovere di giocare tutte le carte a disposizione ed ha davvero pochissimo tempo per tirare fuori dal suo scarno cilindro soluzioni alternative. Magari quel 3-4-3 accennato prima della partita di Solna che permetterebbe di supportare Immobile con l'estro di Insigne e di dare una possibilità ad El Shaarawy che sta vivendo un ottimo momento con la Roma. Dunque azzardiamo Buffon tra i pali con Barzagli, Bonucci e Chiellini a comporre la linea difensiva.

A centrocampo da destra a sinistra Candreva, Jorginho, De Rossi e Darmian, con Florenzi in alternativa ad uno dei due esterni. In avanti Immobile, Insigne ed El Shaarawy, perché è chiaro che un'Italia sull'orlo del baratro ha bisogno di schierare gli uomini più in forma. Ventura ha evocato la forza del 'Meazza', stadio portafortuna della Nazionale la cui carica può e deve costituire il dodicesimo uomo. Sandro Mazzola gli ha fatto eco, ricordando addirittura una delle rimonte storiche della 'Grande Inter' proprio a San Siro, con il Liverpool nel 1965 (lo 0-2 in Inghilterra ribaltato dai nerazzurri con un secco 3-0). Purtroppo però l'Italia del 2017 non dispone dei giocatori che aveva Helenio Herrera oltre mezzo secolo fa e ci sentiamo di dar pienamente ragione ad Andrea Pirlo, quando in merito al 'valore aggiunto' di San Siro afferma di non aver mai visto nessuno fare gol dagli spalti.

La Nazionale di Ventura è dunque padrona del suo destino e restiamo di sasso quando sentiamo dire o leggiamo che servono 'ulteriori motivazioni'. Se non è una motivazione sufficiente andare a giocare per la Coppa del Mondo, allora è proprio il caso che il calcio italiano chiuda bottega.