I primi giorni dei Mondiali 2018 ci regalano un Cristiano Ronaldo in versione Real ed un Leo Messi nemmeno lontano parente del fuoriclasse ammirato solitamente con il Barcellona. Mentre il Portogallo è rimasto a galla contro una Spagna certamente più forte ed organizzata grazie alle prodezze del suo uomo-simbolo, l'Argentina non è andata al di là dell'1-1 contro l'animosa Islanda e, sulla mancata vittoria dell'Albiceleste, pesa la prestazione incolore del suo capitano, reo oltretutto di aver fallito dal dischetto la palla che poteva consegnare i tre punti.
Ma se dovessimo attribuire la mancata vittoria della seleccion esclusivamente alla giornata storta di Messi, ciò non sarebbe rispettoso nei confronti degli impavidi vichinghi islandesi che hanno sfoderato una partita assolutamente perfetta, sul piano della solidità, del gioco corale e della grinta. Di contro c'è stata una squadra, quella di Jorge Sampaoli, che non ha giocato da squadra e che non può vivacchiare esclusivamente sul vecchio ed abusato adagio 'diamo palla a Messi e poi corriamo ad abbracciarlo'. Nella loro prima uscita, gli argentini hanno mostrato i consueti, paurosi limiti difensivi, non hanno avuto un uomo in grado di accendere la luce a centrocampo e, come accade sovente, se Messi non è in giornata, non hanno praticamente altre soluzioni offensive.
L'Argentina intera attende ormai da anni che Messi si metta a fare il Maradona e vinca da solo le partite. Ma nemmeno il 'pibe de oro' era capace di tanto, nonostante ciò che la mitologia calcistica ci ha tramandato dopo i Mondiali messicani del 1986.
Non si vincono i Mondiali senza una 'squadra'
Il confronto costante con Diego Maradona è forse la più grande ossessione della carriera di Leo Messi.
Le magie di colui che, insieme a Pelé, è stato certamente il più grande fuoriclasse di tutti i tempi, sono un inarrivabile punto di arrivo per qualunque calciatore argentino, Messi compreso. Ma sarebbe un clamoroso errore ritenere che Diego vinse da solo quel Mondiale di 32 anni fa. Maradona fu certamente decisivo, così come lo sono stati in altre circostanze Pelé, Ronaldo, oppure il nostro Paolo Rossi nel 1982, ma aveva intorno una squadra costruita per esaltare le sue caratteristiche.
Carlos Bilardo, il CT iridato del 1986, gli chiedeva semplicemente di fare ciò che gli riusciva meglio, saltare l'uomo nell'uno contro uno e dettare l'ultimo passaggio. Diego era un'arma micidiale perché la squadra era stata costruita su misura per lui. L'Argentina di Messi - tutte le nazionali argentine che hanno avuto il fuoriclasse del Barcellona come punto di riferimento nell'ultimo decennio - è come un gruppo musicale di grandi solisti che non sa suonare insieme e vive nell'attesa costante di un acuto del tenore. Quella del 1986, al contrario, era un'orchestra affiatata in grado di fornire al tenore le basi per il miglior acuto possibile.
Il 'peso' di una nazione sulle spalle
Possiamo dunque affermare senza timore di smentita che il duello calcistico vissuto per gran parte della carriera da Leo Messi non sia stato quello con Cristiano Ronaldo, ma il paragone con colui che è stato il più grande del passato al quale viene accostato anche per caratteristiche fisiche e tecniche.
Paragonando le rispettive carriere, Messi ha vinto tutto a livello di club, mentre Maradona resta indissolubilmente legato ai due scudetti vinti in Italia con il Napoli, impresa comunque non da poco se consideriamo la differenza di storia e tradizione del club partenopeo con quello catalano dove, tra l'altro, Diego ha militato con alterne fortune nei primi anni '80. Ma se il confronto viene fatto da qualsiasi tifoso argentino, Maradona è l'uomo dell'ultimo trionfo Mondiale e Messi un 'erede' ingrato che ha 'tradito la patria', calcisticamente parlando, nei momenti più importanti: due finali di Copa America consecutive e, soprattutto, il Mondiale del 2014 perso in finale contro la Germania. Alla luce dei numeri della 'pulce' con l'Albiceleste, questa definizione lo sminuisce impietosamente: con 64 gol in 124 partite, Messi è il miglior marcatore della storia della seleccion ed in tre Mondiali disputati prima dell'attuale ha realizzato 5 gol, risultando decisivo nel cammino che quattro anni fa portò l'Argentina fino alla finale del Maracanà.
Ma senza il titolo, sarà costretto eternamente a pagare dazio nei confronti di Maradona.
Ora gli argentini vogliono la Coppa del Mondo
Questa sorta di 'debito' che un Messi 'più catalano che argentino' sembrava avere nei confronti dei propri connazionali è stato parzialmente saldato nella notte più difficile, quella di Quito, quando l'Argentina ha rischiato davvero di non andare al Mondiale di Russia e non ci sarebbe andata senza la tripletta del capitano che ha steso l'Ecuador. Improvvisamente, la 'pulce' ha ritrovato la sua nazione, ma questa ora gli chiede di riportare a Buenos Aires la Coppa del Mondo. L'avvio del torneo è stato però da incubo, Messi ha tradito nuovamente dal dischetto così come aveva fatto contro il Cile nella finale della Copa America del Centenario, quando aveva poi dichiarato la sua intenzione di lasciare la nazionale, subito rientrata.
Il Mondiale dell'Albiceleste è iniziato dunque in salita, le prossime avversarie si chiamano Croazia e Nigeria ed un ulteriore passo falso potrebbe costare carissimo. Leo Messi, pertanto, si trova innanzi al momento più difficile della sua fantastica carriera: questa sarà la sua ultima occasione di vincere un titolo mondiale e di diventare ciò che Maradona è stato prima di lui. Ma alla fine, sarebbe il caso di smetterla con questo scomodo ed inopportuno paragone e considerare Messi soltanto come... Messi: il numero uno della sua epoca. Lo conosciamo fin troppo bene: dopo averlo visto contro l'Islanda siamo sicuri che può solo migliorare, ma non siamo così ottimisti nei confronti della sua nazionale. Senza supporto, anche il più grande dei profeti rischia di predicare nel deserto.