La Nations League è un torneo ufficiale, non una paccottiglia di amichevoli. La percezione in Italia è chiaramente la seconda, lo si avverte dai post dei tifosi sui social network e dalla freddezza con cui la gente ha accolto la novità 2018 dell'Uefa. Con buona pace di tutti, duole ricordare che si tratta di calcio 'vero', di partite che determinano la conquista finale di un trofeo, promozioni e retrocessioni come in qualunque campionato. Duole ricordarlo anche a Roberto Mancini che, dopo aver dato il via ad un presunto progetto contro la Polonia, lo ha stravolto contro il Portogallo, nel modulo e nei protagonisti in campo, affidandosi all'improvvisazione che un gruppo di giocatori di talento potrebbe teoricamente mettere a frutto.

Purtroppo non è il caso dell'Italia: non abbiamo fuoriclasse, non ci sono giocatori che possiedono la qualità necessaria per cambiare l'inerzia delle partite quando il gioco langue ed il tecnico si affida a tragici esperimenti. Durante i tristi Mondiali di Russia, tristi ovviamente per gli azzurri che erano a casa, lo stesso CT si produsse in una discussa e discutibile dichiarazione. “Tra le squadre di questo Mondiale, solo il Brasile è superiore all'Italia”. A distanza di un paio di mesi, la nostra speranza è che le parole in questione siano state motivate dal tentativo di rincuorare un ambiente depresso. In caso contrario e senza alcuna offesa, ma se il 'Mancio' pensa questo del nostro attuale parco giocatori forse dovrebbe andare in analisi.

La verità l'hanno detta in pochi, perché è difficile da affrontare, eppure è così semplice. Dimentichiamo il blasone della nostra nazionale, l'ultima gara disputata a Lisbona contro il Portogallo che ci ha preso a pallonate in maniera ben più netta di quanto non dica lo score finale di 1-0, è l'ennesima testimonianza di ciò che ormai è evidente: nessuno tra i componenti dell'armata Brancaleone sconfitta in terra lusitana è in grado di dare qualità a questa squadra e nemmeno gli assenti, Balotelli o Insigne.

Perché i fuoriclasse non abitano più da tempo in Italia, l'ultimo della serie ha lasciato la nazionale e sta svernando in Francia, ci riferiamo ovviamente a Gigi Buffon.

Troppi stranieri? Accade lo stesso anche negli altri campionati

Roberto Mancini ha inoltre detto in tempi più recenti che il problema sono i troppi stranieri in Italia e gli italiani che giocano poco.

Strano che lo affermi proprio lui, primo tecnico italiano che ai tempi dell'Inter schierò una squadra senza alcun italiano in campo. In Italia ci sono tanti stranieri, verissimo: nell'attuale Serie A superano il 57 % del totale, ma alla fine la situazione non è diversa negli altri campionati. In Ligue 1 gli stranieri sono il 49 %, percentuale più bassa, ma non nettamente più bassa; nella Pro League belga sono il 63,6 % e dunque superiore a quella italiana. Stiamo portando come esempio i Paesi che agli ultimi mondiali hanno espresso la Francia campione del mondo ed il Belgio ottimo terzo, con tornei ricchi di stranieri e squadre nazionali che sono un inno alla multietnicità. Possiamo continuare: la Premier League inglese ha il 68 % di calciatori stranieri con l'Inghilterra giunta quarta ai Mondiali grazie ad una squadra di giovani talenti; la Liga NOS del Portogallo che ci ha appena sconfitti in Nations League e due anni fa ha conquistato il titolo europeo ha il 62,7 % dei giocatori stranieri ed un corposo numero di brasiliani naturalizzati non compresi in questa percentuale.

In Bundesliga tedesca siamo al 52,5, nella Liga spagnola al 41 %,: inferiori all'Italia, ma non in maniera oceanica. Le nazionali di Spagna e Germania sono state le protagoniste degli ultimi due grandi cicli messi in atto da rappresentative del vecchio continente.

Non siamo brocchi, ma nemmeno fenomeni

Assodato che l'impatto degli stranieri non è poi così devastante, perché alla fine l'unica nazionale in crisi è la nostra, forse sarebbe il caso di smetterla con gli alibi pseudo-patriottici e di guardare in faccia la realtà. Nell'Italia attuale ci sono giocatori che hanno una discreta qualità e buoni numeri: ci riferiamo ad Insigne e Balotelli, ma anche a Jorginho o ai giovani Chiesa e Bernardeschi tanto per citarne alcuni.

Non siamo diventati improvvisamente un gruppo di brocchi di periferia, ma è anche vero che Insigne non è Roberto Baggio e neppure Del Piero, Jorginho non è Pirlo, Balotelli non è Vieri, Vialli o Altobelli. Si potrebbe continuare all'infinito, senza scomodare i Bruno Conti, Bettega, Boninsegna, Riva, Mazzola e Rivera. Questo confronto lo possiamo estendere a qualunque reparto, anche ai nostri prodi difensori: se è vero che Chiellini e Bonucci, ormai in una fase matura della carriera, non sono certamente gli ultimi arrivati, è altrettanto vero che la nostra retroguardia ha vissuto le epoche di Facchetti, Scirea, Maldini, Baresi e Cannavaro. Una lista lunghissima di fuoriclasse, un'abbondanza di campioni che al nostro calcio non è mai mancata se pensiamo che a cavallo tra gli anni '80 e '90 gente come Beccalossi, Pruzzo, Virdis e lo stesso Mancini hanno avuto pochissime chances in nazionale (anzi, nel caso dell'Evaristo dell'Inter, le porte completamente chiuse).

Il nostro non è qualunquismo, ma solo la verità dei fatti. La fioritura di grandi calciatori che ha caratterizzato gli ultimi 90 anni della nostra storia si è interrotta bruscamente. L'Italia di oggi ha buoni giocatori che stampa e tifosi hanno fatto passare erroneamente per fenomeni. Semplicemente, dopo l'uscita di scena degli eroi mondiali del 2006, non c'è stato alcun ricambio generazionale.

Errata gestione dei giovani ed alibi di comodo

A questa problematica si rimedia nell'unico modo possibile, investendo maggiori risorse nei settori giovanili e prestando maggior attenzione a talenti che vengono 'bruciati' sul nascere, perché c'è la pessima abitudine di non considerarli pronti nel momento in cui dimostrano buoni numeri e di sacrificarli per sanare bilanci o sull'altare delle contropartite tecniche in ardimentose operazioni di mercato.

Ma la colpa di questo stato di cose non va attribuita esclusivamente ai 'troppi stranieri', bensì ad una cattiva gestione delle risorse interne. Come già ampiamente dimostrato con le cifre, i troppi stranieri ci sono anche negli altri campionati, eppure le nazionali non risentono della loro presenza. Ma questo è un discorso di prospettiva e, pertanto, abbiamo innanzitutto il dovere di guardare all'immediato futuro. Questo ci dice che l'Italia, oggi come oggi, dopo aver 'bucato' i Mondiali rischia di finire nella Serie B europea determinata dalla nuova Nations League. Abbiamo ascoltato Mancini a fine gara, dopo la sconfitta con il Portogallo e diverse cose non ci sono piaciute, ad iniziare da una squadra che avrebbe bisogno di 'maggiore minutaggio nelle gambe' come se i calciatori italiani fossero diversi da quelli delle altre nazionali.

Gli alibi di comodo non portano lontano e nemmeno la presunzione di avere un parco di giocatori tale da potersi permettere esperimenti in un torneo ufficiale. Il CT ha il preciso dovere di creare un gruppo ed aver affrontato Polonia e Portogallo alla stregua di amichevoli di fine stagione è indice di leggerezza, ma anche di estrema confusione di idee. Ci fa rabbia, infine, che nessuno degli illustri colleghi lo abbia fatto notare a Mancini e ad i suoi giocatori, indice di una stampa sportiva che ha perso il senso della criticità e cerca di salvare un salvabile che non esiste. Tempi che furono, Valcareggi o Bearzot venivano messi alla gogna per molto meno, ma evidentemente non è solo tra i calciatori che mancano i fuoriclasse.

Relativamente alla Nations League, l'Italia tornerà in campo il prossimo 14 ottobre in Polonia, in una gara da dentro o fuori; pochi giorni prima, il 9 ottobre, sarà trascorso un anno esatto dal match disputato in Albania per le qualificazioni ai Mondiali di Russia: è stata l'ultima vittoria degli azzurri in una partita ufficiale.