Michel Platini, un nome legato a doppio filo con la storia della Juventus. ''Le Roy'' del calcio francese ha fatto la differenza negli anni '80, contribuendo a un ciclo di vittorie nazionali e internazionali di grande prestigio in maglia bianconera. Era lui il giocatore più rappresentativo, pur in una squadra che traboccava di campioni, nella Juventus che nella stagione 1984/85 vinse la sua prima Coppa dei Campioni, arrivata purtroppo in una delle notti più tragiche della storia del calcio, funestata dalla tragedia dell'Heysel che costò la vita a 39 persone sugli spalti dello stadio belga prima della finale contro il Liverpool.
Con la maglia della Juve, però, Platini aveva giocato anche un'altra finale, quella di Atene del 1983 persa contro l'Amburgo, ancora oggi una delle beffe più clamorose della storia bianconera. Probabilmente la ''sindrome da Champions'' della vecchia signora che, dopo Atene, ha perso altre cinque finali su sette disputate (complessivamente sono 7 su 9), nasce proprio quella notte. "C'era già ai miei tempi", ha detto Platini in un'intervista rilasciata al Corriere della Sera in cui, oltre a raccontare l'epopea della ''sua'' Juve, ha parlato anche delle prospettive degli uomini di Maurizio Sarri nel massimo torneo continentale che riprenderà il prossimo 7 agosto.
'La Coppa dei Campioni non si riusciva a portarla a casa'
Nei giorni in cui la Juventus festeggia il 36° scudetto della sua storia, nono consecutivo, Platini nell'intervista ricorda anche il suo primo scudetto in maglia bianconera nella stagione 1983/84. "Certamente me lo ricordo - sottolinea - era il 6 maggio del 1984 e ci bastava un punto in casa contro l'Avellino, pareggiammo 1-1".
L'ex nazionale francese ricorda la festa negli spogliatoi: "In realtà ero io a sentirmi importante, in squadra c'erano giocatori che avevano già vinto altri scudetti e per loro era quasi normale. Quella Juventus era costruita per vincere, l'anno prima eravamo arrivati dietro la Roma pur battendola sempre negli scontri diretti.
Però avevamo la sindrome della Coppa dei Campioni, non si riusciva a portarla a casa". Quando il cronista gli fa notare che quella sindrome affligge ancora la Juventus, Platini non può far altro che ricordare la beffa di Atene e quello che accadde dopo. "Dopo quella partita sapevamo che, per tornare a giocare un'altra finale, dovevamo vincere il campionato. In quel periodo in Coppa dei Campioni ci andavano solo i campioni ed era più difficile. Penso però che un campionato lo vinci su 38 partite (erano in realtà 30 ai tempi di Platini alla Juve, ndr), mentre in Champions non sempre vince la squadra migliore. Mi ricordo che l'avvocato Agnelli, nel mio primo giorno a Torino, mi disse subito che dovevamo vincere la Coppa dei Campioni".
'Coppa dei Campioni all'Heysel vinta sul campo'
Nella stagione 1983/84, dopo la beffa di Atene, la Juventus non vinse il campionato ma mise le mani sulla Coppa Italia, guadagnandosi il diritto di disputare la Coppa delle Coppe. Allo scudetto vinto nel 1984, Platini e compagni aggiunsero anche il citato trofeo vinto a Basilea nella finale contro il Porto. Il successo in campionato proiettò i bianconeri nuovamente nel massimo trofeo continentale che stavolta sarebbe stato portato a casa, anche se nella notte peggiore. "Quella notte all'Heysel non è un bel ricordo, è terribile - dice il tre volte Pallone d'Oro - ma quella Coppa dei Campioni la vincemmo comunque sul campo, il Liverpool non ci regalò nulla".
Da Bruxelles 1985 fino ai giorni nostri, alla Juventus che il 7 agosto riprende a giocare in Champions League e deve ribaltare la sconfitta per 0-1 subita sul campo del Lione. "Sarà tosta - dice Platini - e non credo che il Lione parta sfavorito perché non ha giocato in campionato: arriveranno molto preparati alla partita". Juve che tanti anni dopo 'Le Roy' ha un altro fuoriclasse di livello planetario come Cristiano Ronaldo che il cronista definisce "il nuovo Platini", ma quello originale mette le mani avanti. "Ha già vinto tanto in carriera e non ha bisogno di essere me, farlo venire a Torino è stato un gran colpo". Altro accostamento, stavolta tra numeri 10, quello con Dybala. "Lui come stile ricorda Sivori, certamente è più Maradona che me. Non ha il talento di Maradona, ma ha comunque il suo ed è già una gran cosa".