Si appresta ad entrare nel vivo la vicenda dei due marò detenuti in India e accusati dell’omicidio di due pescatori nelle acque internazionali antistanti la costa del Kerala, uno Stato indiano. Proprio il fatto che la vicenda fosse avvenuta in acque internazionali e il presunto scambio dei pescatori per pirati sono gli elementi principali della difesa dei due militari italiani.

È di oggi la notizia che la National Investigation Agency, la polizia investigativa indiana, avrebbe presentato un rapporto in cui per la vicenda vengono chiamate in causa leggi che prevederebbero anche la pena di morte, pena che sembrava fosse stata esclusa a priori da accordi intercorsi mesi orsono tra le due diplomazie.

In particolare si starebbe valutando il ricorso al ‘Sua Act’ che, proprio con l’obiettivo di reprimere la pirateria, prevede la pena capitale.

La vicenda, non fosse tragica, si tingerebbe di grottesco pensando che compito dei due italiani era proprio la repressione di temuti atti di pirateria. Una fonte diplomatica non meglio identificata ha tuttavia precisato all’Ansa ''che la decisione finale spetta al giudice che dovrà formulare i reali capi di accusa'' a carico di Massimiliano Latorre e Salvatore Girone.

La vicenda inoltre si inquadra in un contesto di forti dissidi tra il Ministero degli Interni e quello degli Esteri indiani, che trovano campo proprio nell’interpretazione più o meno rigida del ‘Sua Act’.

E molto peso sembra avere anche l’opinione pubblica in un Paese particolarmente sensibile a temi nazionalisti.

Una vicenda quindi molto complessa e delicata, che per ora costringe la diplomazia italiana all’attesa delle decisioni dei magistrati indiani.