Parte tutto dalla Spagna e da due link del quotidiano La Vanguardia del 1998 ed oggi la corte europea ammette il diritto di oblio, ha pagarne le spese oggi è stato Google.

Il diritto "all'oblio"

Che tra Google e l'Unione Europea non scorra buon sangue è noto, siamo passati dalle vicende di due anni fa che vedevano il motore di ricerca indebitato fino all'osso con la maggior parte dei Paesi, sotto l'accusa di evasione fiscale. Oggi, contrariamente a quanto avvenuto lo scorso giugno quando la Corte europea concesse a Google di non eliminare i link già indicizzati, il motore di ricerca si vede venir contro questo diritto "all'oblio".

Secondo la corte europea il motore di ricerca è responsabile anche dei contenuti delle pagine di terzi essendo quest'ultimo a darvi visibilità e a diffonderne i contenuti. Il problema principale è quello della privacy, tema nella rete molto controverso, tutti i link di terze parti che ledono l'immagine di una persona fisica devono essere rimossi dal motore di ricerca.

La vicenda giudiziaria

La vicenda inizia con la richiesta da parte di Mario Costeja Gonzàlez, cittadino spagnolo, al quotidiano La Vanguardia di eliminare due articoli, che risultavano essere i primi risultati su Google se si digitava il suo nome, rappresentando un danno per la propria immagine. L'editore si rifiutò ripetutamente e così Gonzàlez si ritrovò costretto a far causa a Google Spain e Google Inc.

La prima sentenza di eliminazione dei link incriminato era giunta nel 2010 dall'Aepd, l'agenzia spagnola che si occupa della protezione dei dati sensibili. La sentenza fu impugnata da Google che oggi riceve nuovamente una sconfitta sonora ritrovandosi così a dover cancellare link lesivi all'immagine della persona fisica se fatto su richiesta del singoli cittadini, a meno che non si tratti di un personaggio pubblico.