E' stata una clamorosa gaffe, quella di Maurizio Gasparri sul suo profilo Twitter, il vice presidente del Senato ha proferito illazioni nei confronti di Vanessa e Greta le due giovani ragazze appena liberate. Il Senatore di Forza Italia ha twittato: 'Vanessa e Greta si sono concesse ai guerriglieri? E noi paghiamo', si tratta di un'affermazione forte che purtroppo non trova riscontro.

Gasparri si è subito giustificato in un'intervista rilasciata a 'Repubblica', dicendo che era una notizia riportata su un sito "Piovegovernoladro" ed ha precisato che la sua non era un'affermazione, ma una domanda.

Il Senatore inoltre ha aggiunto che è stata una semplice curiosità e voleva verificare che quanto letto su quel sito fosse vero.

Nell'intervista poi ha voluto sottolineare: 'Ho letto la notizia e mi sono limitato a chiedere se fosse vera', ha poi aggiunto di essere stato insultato per quel messaggio e di aver risposto al suo interlocutore di vergognarsi.

Al Senatore però è stato ricordato che lui ricopre un ruolo istituzionale e Twitter non è il luogo adatto per parlare di queste cose, ma lui ha seccamente risposto che non c'è nulla di male fare una domanda, senza peraltro aver affermato nulla. Certamente quell'affermazione: 'E noi paghiamo', voleva dire tutt'altra cosa ed è stata proprio quella frase a scatenare la polemica per la gaffe commessa.

'Se quanto affermato da quel sito è falso, qualcuno deve pagare per le falsità pubblicate', questa è la presa di posizione di Gasparri, ma quantomeno doveva prima verificare personalmente, prima di intervenire su un social con una simile illazione. Il vice presidente del Senato ha anche consigliato al giornalista di 'Repubblica' di non scrivere anche lui cose che non sono vere, perché se in questa vicenda c'è qualcuno che ha sbagliato deve pagare.

Naturalmente quello che ancora non si è capito è chi ha sbagliato, perché il twitt non l'ha scritto né il giornalista, né gli autori del sito. La cosa certa sino ad ora è sicuramente la clamorosa gaffe proferita da un'autorevole figura istituzionale dello Stato nei confronti di due ragazze che sono state prigioniere per sei mesi nelle mani dei guerriglieri siriani.