Voleva essere un jihadista ma non aveva fatto i conti con la mancanza di carta igienica. Si è guadagnato così il soprannome di "Barbie", Imran Khawaja, un ventisettenne britannico partito alla volta della Siria per unirsi alle forze armate dell'Isis ma che ha poi cercato in tutti i modi di tornare a casa. La motivazione non sembrerebbe essere il pentimento quanto le insostenibili condizioni di vita al seguito dei militari jihadisti. Imran ha infatti confessato, tramite messaggi inviati ai suoi amici, di non poter più fare a meno di comfort come toilette pulite, sapone, dentifricio e burro di cacao.

Non erano serviti i messaggi di genitori e amici che lo supplicavano di tornare dopo aver visto in rete alcune foto che ritraevano il giovane accanto a teste mozzate di prigionieri o a bambini trasformati in guerriglieri. Decisiva è stata invece la mancanza dei lussi propri di quel mondo occidentale che voleva combattere accanto ai miliziani dell'Isis. Il ventisettenne ha così simulato la sua morte per cercare di tornare in Gran Bretagna ma il suo piano non è riuscito. E' stato infatti bloccato a Dover e condannato ad una pena di 17 anni, di cui 12 di reclusione e 5 di libertà vigilata.

Inflessibile il giudice che ha dichiarato: "Khawaja ha deciso di diventare un terrorista, di farsi coinvolgere nell'addestramento all'uso delle armi in accampamenti di terroristi.

Ha inoltre finto la sua morte per tornare in Gran Bretagna ma questa sentenza vuole mandare un segnale forte a chi intende preparare atti di terrorismo in questo paese o anche oltre-Manica". Dura anche la posizione di Deborah Walsh del Crown Prosecution Service: "Le azioni di Imran Khawaja sono alcuni dei più evidenti esempi di estremismo violento. Azioni che non ho mai visto compiere ad altri jihadisti inglesi di ritorno dalla Siria.

Le foto e i video di Khawaja ritraggono un uomo che non si sarebbe fermato davanti a nulla pur di diffondere odio e terrore". A seguito della sentenza Imran ha però scritto una nota al giudice in cui invita giovani come lui a non compiere il suo stesso errore.