Duhok è nel nord dell'Iraq, nel Kurdistan, a circa 60 km da quell'importante confine che divide la libertà dalla sottomissione, la civiltà dall'inciviltà, cioè quella linea invisibile che è il limite dei territori governati dall'ISIS (Islamic State of Iraq and al Sham). Malgrado i pochi chilometri, Duhok è un luogo sicuro, infatti qui sono presenti numerosi campi profughi. Ed è in questa città che il prossimo 9 luglio aprirà un importante centro di accoglienza per le ragazze rapite dagli uomini dell'ISIS e che poi sono riuscite a fuggire.

Le donne e ragazze yazide

Le storie di queste donne e ragazze sono spesso inimmaginabili per chi, come noi europei, è cresciuto in una società dove vige il rispetto del prossimo tutelato da un punto di vista legislativo. Catturate, portate nei mercati delle schiave del sesso di Mosul o Raqqa, denudate e mostrate come merce, violentate ripetutamente, rivendute, talvolta torturate se non mostrano piacere durante il rapporto sessuale... questo è solo un breve elenco di ciò che capita a queste donne, drammi vissuti quotidianamente, e a volte ragazze che non vedono una speranza nel loro futuro e si suicidano.

Alcune di loro riescono a scappare, spesso durante i bombardamenti americani, quando tutto precipita nel caos e nessuno le controlla, oppure grazie all'aiuto di una moglie che non vuole concubine in casa, ma le cronache sono tante quante le ragazze fuggite.

Quando si mettono in salvo inizia un'altra storia: la difficoltà di convivere con le proprie esperienze vissute e ricominciare una nuova vita, magari sapendo che membri della loro famiglia sono stati uccisi o sono dispersi.

Il centro Jinda a Duhok

In questa zona sono molto attivi Unicef e Wadi, un'associazione tedesco-irachena non governativa che dal 1992 opera nel Medio Oriente e che ha come obiettivo aiutare i diritti umani e favorire gli ideali democratici.

Sono proprio loro che, con l'aiuto dell'Ambasciata e del Governo italiano, sono riusciti a realizzare questo centro di accoglienza nel centro di Duhok, che aiuterà 300 donne e ragazze traumatizzate.

La signora Cheman Rashed sarà la direttrice del centro: lavora con Wadi dal 1997 ed ha perciò una grande esperienza alle spalle.

Una contabile, una traduttrice e una sociologa fanno parte del team, che per la verità è alla ricerca di una psicologa.

Il centro è una palazzina di tre piani, di cui il secondo e terzo sono ad uso esclusivo delle donne yazide che devono cercare di ritrovare una normalità perduta, per questo si occuperanno di attività giornaliere come cucinare, fare la spesa, curare il giardino (ad ognuna di loro verrà comprata una pianta), ma anche prendersi cura di se stesse, come truccarsi e acconciarsi i capelli, per ritrovare quella dignità e amor proprio che altri avevano voluto distruggere.

Le guardie, gli autisti e i visitatori potranno stare solo al piano terreno, per lasciare queste donne libere da ogni ingerenza maschile e ritrovare la sicurezza di cui hanno bisogno.