Nel suo discorso durante la commemorazione del genocidio avvenuto a Sinjar (Kurdistan iracheno), il presidente Masoud Barzani ha definito gli uomini dell'ISIS un cancro, criminali senza onore. Se si ascoltano le tante storie raccontate dalle donne che hanno avuto l'opportunità di fuggire dai Daesh, ci si rende conto che in realtà non ci sono parole sufficientemente spregevoli per descriverli. Sono la personificazione del male, questo è tutto.
Nelle storie che ho potuto ascoltare in Kurdistan, raramente si coglie un'ombra di pietà nei gesti dei seguaci dell'ISIS.
Le storie, poi, iniziano tutte più o meno nello stesso modo: quando i combattenti per lo Stato Islamico arrivano, dividono uomini e donne. Gli uomini vengono uccisi subito, spesso sotto gli occhi delle loro donne. Quest'ultime vengono portate via. E qui inizia il loro calvario.
La storia di Gulan
Gulan ha 45 anni, e prima del 3 agosto 2014 aveva due figli (uno di 15 e uno di 19 anni) e un marito. Vennero presi dall'ISIS mentre stavano fuggendo in macchina da Sinjar: i tre uomini vennero portati via con la loro stessa auto (e poi uccisi), mentre a lei legarono le mani e le bendarono gli occhi perché si agitava troppo, poi dovette andare via con quattro Daesh. Le presero la carta d'identità e l'oro che aveva con sé e per tutto il giorno non le diedero da mangiare e da bere (in quell'area d'estate si raggiungono i 50°C).
Il giorno dopo iniziarono a picchiarla dicendole che doveva convertirsi all'Islam, ma a Gulan era rimasto solo il suo credo, le avevano portato via tutto, e non volle cambiare religione. La picchiavano con un tubo e le ruppero i denti frontali dell'arcata superiore. Voleva suicidarsi, ma non ne ebbe l'occasione. Dopo averla portata a Tall Afar, Gulan era con un gruppo di altre 6 donne di diverse età.
Vennero ancora picchiate e venne portato loro un pezzo di pane e dell'acqua sporca. Poiché non cedevano, decisero di metterle per un'intera giornata sotto il sole, senz'acqua. Nel tardo pomeriggio le condussero in una stanza, e visto che a turno tutte svenivano, gli venne data dell'acqua e del cibo, dove però c'erano mischiati dei tranquillanti.
Arrivarono poi 10 uomini ed ognuno di loro stuprò le 7 donne, le quali subirono senza neppure reagire perché drogate. Questa tortura quotidiana fatta di botte e stupri andò avanti un mese.
La fuga grazie a una disattenzione
Venne poi portata in una scuola dove 50 Daesh controllavano 300 yazidi: donne e bambini. Ogni giorno venivano a prelevare un gruppo di donne, le portavano via e le riportavano dopo averne abusato. Quando capitava alle ragazzine, ritornavano catatoniche. Anche Gulan fu presa tre volte. Dopo due mesi venne trasferita in un villaggio vicino a Tell Afar e chiusa con altre 9 donne in una casa, erano tutte tra i 40 e i 45 anni tranne una, di 13 anni. Il cibo veniva portato una volta al giorno.
Passavano il tempo a piangere, oppure sedute a fissare il nulla. Ogni notte, poi, 7 uomini diversi venivano a stuprarle. Ogni notte, tranne una, perché combattevano. La ragazzina di 13 anni rimase in cinta: abortì sdraiandosi e una donna le salì in piedi sulla pancia. I Daesh la portarono poi in ospedale. La stessa situazione la subì Gulan, e dopo 20 giorni che era tornata dall'ospedale gli uomini dello Stato Islamico ricominciarono a stuprarla.
Una notte i Daesh se ne andarono di tutta fretta perché chiamati a combattere e chi uscì da quella casa per ultimo si dimenticò di chiudere la porta. Le donne fuggirono per 4 notti, nascondendosi di giorno, finché incontrarono i peshmerga.
Ora Gulan non dorme la notte, è senza i denti superiori frontali, soffre di forti dolori addominali, non riesce a stare in piedi troppo a lungo e ha perso ogni gioia di vivere. Vive in una tenda nel campo di Khanke con la famiglia dello zio.