Aveva venti anni, Giordana e un sorriso da bambina. Bambina un po' lo era, nonostante una figlia di 4 anni che amava e che un po' cresceva insieme a lei. Due bambine indifese in un mondo di violenza. Una, la più piccola, dovrà andare avanti da sola, adesso, senza quella giovane mamma, amica, compagna di giochi. Senza più le carezze e le attenzioni di cui ogni bimbo del mondo ha bisogno. Per crescere. Per capire. Per imparare ad amare, anche.
Adesso, come ogni volta, si parlerà di un femminicidio che poteva essere evitato. Gli inquirenti svolgeranno le loro indagini e faranno egregiamente il loro mestiere, come sempre.
La politica si interrogherà sulla necessità di dare un ulteriore giro di vite per contrastare una violenza inaudita. Perché se la violenza, in generale, non trova motivazioni e giustificazioni, questo tipo di violenza è addirittura inspiegabile. Ancora si continua a pensare che sia possibile tollerare una prevaricazione fatta di aggressioni verbali e fisiche all'indirizzo di una compagna, una ex fidanzata, una moglie.
E adesso, come ogni volta da quando esistono i social, giornali e tv riempiranno articoli e servizi di foto e frasi "rubate" nel profilo della vittima. Un rituale macabro. Come se al pubblico dei lettori o ai telespettatori potesse fornire un dato di arricchimento interiore quella morbosa curiosità che scava nei pensieri, nelle passioni, nelle confidenze che possono contenere dei post su Facebook, su twitter e così via.
Sono pubblici, è vero. Quelli di Giordana sono lì, ancora aperti a tutti. Ma lo erano anche prima. E se ieri interessavano a poche centinaia di persone, suoi amici e per questo autorizzati a condividerli con lei, perché oggi dovrebbero "guadagnare" una platea di milioni di persone?