Quando due genitori si separano, i giudici pacificamente mettono al primo posto l’interesse del minore tutte le volte in cui devono deliberare sulle scelte dell’affidamento e della collocazione dello stesso. Molti giudici quindi tendono a disporre l’affido condiviso alternato che prevede un collocamento paritetico dei figli presso ambedue i genitori sempre che essi abbiano una solida cultura della bi-genitorialità e che le distanze delle abitazioni non rappresentino un ostacolo per le frequentazioni dei genitori da parte del minore. Se l’affido condiviso dunque rappresenta la regola proprio perché i figli hanno nella quotidianità la presenza di entrambi i genitori anche se non conviventi, che li aiutano a maturare rendendoli più sicuri, sono previste però delle eccezioni.

L'affido condiviso può infatti incontrare dei limiti che determinano lo spostamento dell’ago della bilancia verso l’affido esclusivo qualora il Tribunale dei Minori imponga ai genitori di seguire un percorso di “consapevolezza genitoriale”, il cui obiettivo è quello di ridurre la persistente conflittualità.

Un alto livello di conflittualità può determinare deroga all’affido condiviso

La Suprema Corte con una recente sentenza ha affrontato il caso di un padre che ha chiesto in via principale un affidamento condiviso alternato ed in subordine l’ampliamento dei periodo di frequentazione della figlia. I giudici di merito non hanno però accolto la sua richiesta, poiché nello specifico caso la parità fra i genitori non rispondeva nè allo spirito dell’affidamento condiviso nè alle esigenze della bambina, che anzi poteva essere destabilizzata dal dover frequentare due abitazioni.

E ciò anche perché era stata riscontrata la presenza di un'accesa conflittualità fra gli stessi genitori, in virtù della quale era stato consigliato ad entrambi di rivolgersi ad un professionista per l’individuazione di un percorso che li aiutasse a superare tale impasse. Tale terapia di coppia doveva servire a dare pacifica attuazione all’affidamento condiviso nell’esclusivo interesse della bambina.

Il padre però ritenendo violato il principio di bi-genitorialità come modello di regolamentazione del rapporto di frequentazione fra il figlio minorenne e ciascuno dei genitori ha fatto ricorso in Cassazione. A nulla però solo vale le sue doglianze che si sono fondate sul fatto che era stata determinata una ‘lesione’ del diritto della bambina a mantenere un rapporto il più possibile continuativo ed assiduo con lui.

La Corte si pronuncia sulla salvaguardia del principio di bigenitorialità

La Corte di Cassazione, con ordinanza n.25418 del 17.12.2015 ha rigettato il ricorso del padre sulla scorta delle seguenti motivazioni. Gli ermellini, abbracciando il ‘dictum’ dei precedenti gradi di giudizio hanno ritenuto infatti che fosse del tutto idoneo il suo diritto di visita nei confronti della figlia secondo il regime già prestabilito dal Tribunale dei Minori. Esso infatti rispondeva alle esigenze di habitat domestico dalla minore e del suo diritto di avere una relazione significativa e costante con la madre. I giudici di legittimità hanno inoltre ritenuto giusto l’ammontare del contributo di mantenimento posto già a carico del padre nei confronti dalla figlia.

Esso era stato determinato anche in considerazione del fatto chel'uomo era tenuto ad affrontare anche altre spese come quelle relative agli spostamenti per andare a prendere e a portare la figlia nel luogo di residenza della ex moglie. Per info. di diritto premi il tasto segui accanto al mio nome.