A questo punto sorge spontanea una domanda. Bruno Vespa avrà ancora il coraggio di difendere il suo operato e spacciare come inchiesta giornalistica il suo personale show? L'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni è diretta nel suo giudizio, espresso in merito all'intervista a Salvo Riina, figlio del capo dei capi, andata in onda lo scorso 6 aprile su Rai Uno nel corso di "Porta a Porta". Per Marcello Cardani, presidente dell'Agcom, l'intervista di Vespa è stata "unilaterale in molte fasi" ed oltretutto "è mancato il contradittorio". Ovvio risultato sono le informazioni incomplete, insomma sarebbe in antitesi con il lavoro di ogni buon giornalista.

Rispondiamo alla domanda fatta in premessa e la risposta è affermativa, perché la risposta di Bruno Vespa è arrivata poche ore fa, il noto giornalista e conduttore televisivo resta della sua idea e difende a spada tratta il suo lavoro.

L'Agcom sollecitata dall'esposto di Michele Anzaldi

La lettera del presidente dell'Agcom, inviata ai vertici Rai, è il risultato dell'esposto che venne allora presentato da Michele Anzaldi. Il deputato del PD, giornalista professionista, si era unito al coro di proteste che aveva attraversato l'Italia ed al di là delle dichiarazioni assolutamente inaccettabili di Riina jr. che si era soffermato sulla figura paterna senza esprimere la minima condanna per ciò che fa parte della storia nera del Paese, aveva anche sollevato il problema che tale messaggio passasse da un pubblico servizio quale la Rai.

Su questo punto l'Agcom è stata molto dura e pur sottolineando l'originalità dell'intervista, che ha offerto allo spettatore "l'opportunità di riflettere sul fenomeno mafioso da un punto di vista diverso", ne condanna "la conduzione unilaterale, senza contraddittorio" e le "omissioni dell'intervistato che non hanno avuto le necessarie repliche" ed hanno dunque lasciato il telespettatore orfano di "una rappresentazione completa dei fatti".

L'aspetto più grave, ed a suo tempo lo abbiamo sottolineato anche noi, è "aver posto in secondo piano la sensibilità della gente ed il dolore dei parenti delle vittime di mafia". Da qui una sonora bacchettata alla Rai, richiamata ed invitata per il futuro "al rispetto dei principi sanciti dall'ordinamento e dal contratto di servizio".

Come dire a Vespa che il suo lavoro è stato privo di completezza ed è decisamente venuto meno ad un principio della nostra professione: la lealtà dell'informazione.

Vespa spedisce le accuse al mittente

In questa vicenda non siamo stati obiettivi. Era difficile, ci abbiamo provato ma l'indignazione è stata più forte. Bruno Vespa, subito dopo la bufera, aveva tirato in ballo la sua vecchia intervista a Saddam Hussein ma anche interviste all'ex leader libico Gheddafi o all'attuale presidente siriano Bashar al-Assad. La riteniamo una rovinosa arrampicata sugli specchi, citando capi di Stato che tali erano al momento dell'intervista e che nessuno aveva ancora condannato, nè un tribunale, nè la storia.

Nel caso specifico di Assad, non sarà uno stinco di santo ma stiamo poi parlando di un capo di Stato attualmente in carica e metterlo oggi sullo stesso piano di un boss mafioso ergastolano mandante di centinaia di omicidi quale Totò Riina è quantomeno discutibile. Dopo aver letto le motivazioni del richiamo comunque Vespa ha replicato, rivendicando di aver rispettato sia la "deontologia professionale" che "la dignità della persona con lo scrupolo che da 50 anni caratterizza il mio lavoro". Ci permettiamo ancora una volta di dissentire, perchè a nostro giudizio andava messo in primo piano il rispetto di orfani e vedove delle vittime di mafia e tra i morti causati da Cosa Nostra ci sono anche illustri colleghi che conoscevano davvero il significato di parole come "deontologia professionale". Permettere al figlio di un mafioso di parlare da mafioso e per giunta pubblicizzare un libro e farlo attraverso un pubblico servizio non ci sembra così tanto "deontologico".