Il carcere capitolino di Rebibbia ha dimostrato, con l'ultima evasione dei tre detenuti albanesi tuttora ricercati, che l'istituto penitenziario presenta delle grosse falle e carenze nella sorveglianza dei detenuti. E purtroppo non è neanche una novità. Sta ancora infuriando la polemica per il personale che non c'è oppure per come ci siano, in alcuni settori, solo nove agenti penitenziari per trecento detenuti. In trent'anni, poi, si sono verificate molte evasioni da rebibbia, alcune addirittura spettacolari e imbarazzanti per le autorità carcerarie.

Le evasioni

23 novembre 1986: da Rebibbia evadono due detenuti di un certo spessore, l'estremista nero Gianluigi Esposito e il criminale franco-tunisino Andrè Bellaiche. La fuga è rimasta negli annali per le eccezionali modalità con cui fu compiuta: i complici dei criminali sequestrarono un elicottero della Croce Rossa dall'ospedale San Camillo costringendo il pilota ad atterrare sul campetto da calcio del penitenziario; Esposito e Bellaiche fuggirono aggrappandosi ai pattini del velivolo, che li portò subito via senza incontrare resistenza. Fuggiti in Francia, furono comunque riacciuffati poche settimane dopo.

Febbraio 1987: dal penitenziario riesce ad evadere il romano Giuseppe Mastini, detto "Johnny lo Zingaro", di origini sinti e dal copioso curriculum criminale; secondo alcuni sarebbe stato implicato anche nell'omicidio di Pier Paolo Pasolini.

Fu poi arrestato a fine marzo dello stesso anno dopo un rocambolesco inseguimento per mezza Roma condito da sparatorie, omicidi e sequestri.

1996: evade il terrorista palestinese Majed Al Molqui, condannato per il sequestro della nave da crociera "Achille Lauro", avvenuti nel 1985. L'uomo sarà riacciuffato in Spagna, ma la sua evasione dimostrò come Rebibbia fosse estremamente esposto alle fughe, essendo un carcere troppo grande.

12 febbraio 2014: evadono i trafficanti di droga Giampiero Cattini e Sergio Di Paolo; i due evadono come i tre albanesi di un giorno fa, segando le sbarre della cella e usando delle lenzuola per calarsi dal muro di cinta. Dulcis in fundo, lasciano anche un biglietto di scuse per la direttrice. Anche loro furono ripresi qualche tempo dopo.

Insomma, come già denunciato dai sindacati, bisogna davvero fare qualcosa per migliorare le amministrazioni penitenziarie, soprattutto quelle che gestiscono i "supercarceri" delle grandi città, che spesso si trovano ad accogliere individui pericolosi e dalla caratura criminale ampia.