Tre anni fa uccise a coltellate la moglie Maria Cristina Omes e i due figlioletti Giulia e Gabriele, poi cercò di far passare il tutto come una rapina e per crearsi un'alibi andò anche a vedere una partita come se nulla fosse; un delitto atroce dettato da una personalità narcisistica e infantile e da una motivazione blanda, l'infatuazione per una collega di lavoro che neppure lo considerava. Ma adesso carlo lissi, il trentenne di motta visconti (Milano) condannato in primo grado all'ergastolo, ha scritto una lettera ai giudici affermando di voler rinunciare al processo in appello e di meritare il carcere a vita per quello che ha commesso.

La notizia è stata riportata dal "Corriere della Sera", che ha anche riferito come l'uomo abbia rinunciato al ricorso in appello già presentato. Nella lettera, Lissi dichiara che "considerando congrua la condanna inflittami in primo grado, ho deciso di rinunciare scusandomi per la perdita di tempo, oltre ad essere fiducioso in un favorevole accoglimento".

Legale: "Familiari soddisfatti"

Sembra quindi esserci una svolta nella vicenda di quest'uomo che, per alcuni anni, non aveva mostrato alcun segno di pentimento cercando addirittura di passare per infermo di mente pur di farsi alleggerire la pena in appello. Evidentemente, la realtà della condanna in primo grado e i colloqui con lo psichiatra gli hanno fatto prendere coscienza dell'orribile gesto e condotto ad un reale pentimento: "La decisione di Lissi non può che lasciarci soddisfatti - ha dichiarato Domenico Musicco, legale della suocera Giuseppina Redaelli - dimostra che la condanna è servita veramente a farlo pentire.

Abbiamo saputo che la lettera è stata scritta spontaneamente da Lissi, senza concordarla con il suo avvocato. Forse lui stesso ha maturato nel tempo quello che noi avevamo già chiesto nel corso del processo di primo grado, e cioè che, per dimostrare di essere realmente pentito, Lissi avrebbe dovuto chiedere per sè l'ergastolo anche in contrasto con il suo avvocato.

Comunque, è una notizia che alleggerirà in parte il grande dolore dei familiari - ha concluso Musicco - oltre ad essere la prova che se le pene vengono comminate nel modo giusto, possono servire anche al recupero del detenuto".