Questa è solo una delle tante storie di elementi di estremo valore che, in Italia, vengono messi al margine della società. Molti di loro, però, pur di rimanere nella patria natia, si accontenterebbero di qualsiasi lavoro, anche il più umile, ma purtroppo, spesso, non è concesso neanche questo.
Raccontiamo la storia Sabina Berretta
Sabina, di origine catanese, da bambina coltiva la passione della ginnastica e, come gran parte degli atleti, dopo le superiori si iscrive all’ISEF (istituto superiore di educazione fisica). Il suo desiderio era quello di fare la professoressa di educazione fisica.
La ragazza decide di dare la tesi sulla fisiologia ma il suo docente e relatore si accorge della grande passione che ha la ragazza per la materia e la spinge ad iscriversi alla facoltà di Neurologia. Dopo tanti sacrifici, Sabina riesce a diventare neurologa con la grande passione per la ricerca ma, come tutti sappiamo, in Italia di ricerca non si mangia; allora decide di partecipare a un concorso da bidella, purtroppo, senza avere successo.
E, per Sabina, arriva la chiamata di Harvard
Il lavoro da ricercatrice universitaria era solo un lavoro di volontariato. La donna, allora, cerca una strada diversa per guadagnare: e chiede un piccolo contributo al CNR (Centro Nazionale Ricerche). Una volta ottenuto il suo contributo, lo utilizza per fare delle ricerche sugli effetti della schizofrenia sul cervello.
Terminato il suo progetto, Sabina spedisce la sua ricerca ad harvard. Gli accademici della prestigiosa università apprezzano il lavoro fatto dalla nostra connazionale e le viene chiesto di recarsi negli Stati Uniti per presentare il suo progetto. Una volta giunta in America, le viene proposta l’occasione di partecipare ad un nuovo progetto insieme ad altri 17 ricercatori.
Vista la sua enorme conoscenza del cervello, viene promossa come direttrice del Brain Tissue Resource Center.
Ecco le sue dichiarazioni rabbiose: "Se fossi rimasta in Sicilia sarei sicuramente una delle tante disoccupate”