Qualche mese addietro fece scalpore uno studio dell'Università di Leicester che teorizzava l'estinzione dell'umanità nel caso di un'invasione zombie. Al di là del chiedersi come mai un'istituzione accademica possa dedicare tempo e risorse ad una ricerca quantomeno originale, è il punto di partenza ad essere errato. Gli zombie in realtà esistono, fatti di sangue e carne per nulla in decomposizione, vivi, pulsanti e con un cervello teoricamente funzionante. George Romero aveva previsto tutto, anche se involontariamente, perché nemmeno il più acuto dei geni è in grado di vedere il futuro.

Il regista newyorchese è morto il 17 luglio 2017, portato via da un male incurabile. Riteniamo non possa tornare in vita, o non-vita, come gli zombie dei suoi film, ma non sarebbe peggiore degli 'zombie viventi' del mondo di oggi. Lo scorso anno, durante la Mostra del Cinema di Venezia, il regista danese Nicolas Winding Refn aveva definito Romero "un profeta, perché nei suoi film c'è l'America di Donald Trump". Non possiamo dargli torto, ma la visione non riguarda soltanto gli Stati Uniti.

Il più politico dei registi horror

Gli adolescenti di oggi sono abituati a ben altro e, visti con i loro occhi, film come 'La notte dei morti viventi' o 'Zombie' non fanno più paura. In realtà le pellicole di George Romero non sono mai state destinate esclusivamente ad un pubblico di giovanissimi, ma contengono spunti di riflessione e disamine politiche perfettamente in linea con i tempi in cui uscirono nelle sale cinematografice ed estremamente attuali anche nel mondo di oggi.

Ne 'La notte dei morti viventi' (1968) un gruppo di persone che non hanno nulla in comune si trova a dover combattere insieme l'assalto degli zombie in un'abitazione. Tematiche come il razzismo ed una critica pungente ad istituzioni quali chiesa o famiglia saltano puntualmente fuori, nemmeno in maniera velata. Alla fine resta il dubbio che i veri mostri, ciechi, irrazionali e disumani, non siano quelli che stanno fuori dalla casa.

Nel secondo capitolo della sua tetralogia, 'Zombie' del 1978, l'orda di morti viventi prende d'assalto un centro commerciale, dipinto come qualcosa che li tiene legati al loro ex stato di creature viventi. Un supermercato, pertanto, identifica la loro condizione passata di 'uomo che vive e respira', non una chiesa, una scuola o un parco: il film intero è un aspro riferimento alla logica del consumismo, unico istinto in grado di resistere alla disumanizzazione degli zombie perché, nella visione del regista, non è altro che un ottuso impulso prodotto da una massa non pensante.

Nella sua terza opera dedicata a questo tema, 'Il giorno degli zombie' uscito nel 1985, viene puntato l'indice sul fanatismo militare e sul metodo di ricerca scientifica privo di scrupoli, in cui il fine giustifica i mezzi. Il quarto è ultimo capitolo è 'La Terra dei morti viventi' (2005), dove un mondo ormai irrimediabilmente invaso dalle creature tornate dalla morte ha acuito le differenze dettate dal capitalismo. I ricchi vivono in grattacieli-fortezze, lontano dal pericolo; chi non può permetterselo è in strada e combatte quotidianamente per sopravvivere.

Il mondo che si arrende agli zombie

Alla Terra dei morti viventi ci siamo arrivati, senza bisogno di cadaveri ambulanti che bramano carne umana.

I personaggi dei film di Romero alla fine hanno due scelte: la prima è quella di arrendersi al contagio, la seconda di combatterlo. L'impressione è che la società moderna stia creando ipotetici zombie contro cui scagliarsi, senza rendersi conto di essere ormai contagiata da quel processo di irrazionale disumanizzazione. Facile far riferimento a politici di ispirazione populista che hanno poggiato la loro base elettorale su presunte invasioni di zombie: un esempio in tal senso sono coloro che evocano l'immagine catastrofica di "migranti tra i quali si annidano certamente terroristi che vogliono distruggere la società occidentale". Questo ed altri concetti superficiali che riguardano svariate tematiche, non solo immigrazione, ma anche religione, famiglia, sesso e quant'altro, fanno leva sulla diffusa ignoranza delle masse, contribuiscono a spargere il seme dell'odio, coinvolgendo migliaia di persone che sputano sentenze e le innalzano a verità assolute sui social network.

Un morbo che si diffonde velocemente perché sfrutta un sistema di condivisione globale: gli zombie di oggi viaggiano in Rete e sono più subdoli di quelli dei film di Romero: piaghe come razzismo, omofobia, becero revisionismo storico, la caccia continua all'offesa ed alla polemica in nome di un primordiale e deviato istinto di sopravvivenza. Tutto viene fatto di getto e nessuno si ferma a pensare, anche se teoricamente sarebbe in grado di farlo. I pregiudizi sono più forti e, pertanto, in questo mondo una parte dell'umanità continua a guardare i presunti zombie e li teme, senza rendersi conto di quanto il sonno della ragione abbia mutato loro stessi in zombie più pericolosi dei mostri di Romero.

Il quale, ad onor del vero, non aveva una cattiva opinione della società moderna che viaggia sui social network. Forse perché in fin dei conti era un'inguaribile ottimista e lasciava trasparire un filo di speranza anche negli scenari apocalittici dei suoi film.