Il caso Elena Ceste non può dirsi ancora chiuso. Il marito della madre 37enne scomparsa dalla sua casa a Costigliole d'Asti il 24 gennaio 2014, i cui resti furono rinvenuti casualmente il 18 ottobre dello stesso anno nel canalone del Rio Mersa, non distante dall'abitazione, seppur condannato in primo e secondo grado per il delitto, continua a proclamare la sua innocenza.

Michele Buoninconti, che lo scorso gennaio si è visto confermare dalla Corte d'Assise d'Appello di Torino la condanna a 30 anni di carcere già inflittagli in primo grado dalla Corte di Asti, sostiene di essere vittima di un clamoroso errore giudiziario.

Secondo i suoi legali, sarebbe stato intentato un processo indiziario che non avrebbe dimostrato né la responsabilità dell'imputato nell'omicidio, e nemmeno che Elena Ceste sia stata uccisa. Infatti, come sostiene la difesa del vigile del fuoco, la donna sarebbe rimasta vittima di una tragica caduta e, di conseguenza, morta accidentalmente.

Enrico Scolari e Giuseppe Marazzita hanno - com'era prevedibile - impugnato la sentenza d'Appello, presentando ricorso in Cassazione. Alla base di questa decisione vi è, certamente, il rifiuto da parte della Corte di Torino di effettuare perizie super partes sulle celle telefoniche (uno degli elementi indiziari che hanno inchiodato Buoninconti che, secondo i riscontri effettuati, pochi minuti dopo la scomparsa della moglie si sarebbe trovato in prossimità del luogo dell'occultamento del corpo) presentata dalla difesa.

L'obiettivo dei legali era quello di avere un giudizio in merito che andasse oltre quello fornito dai consulenti del pm, della difesa e della parte civile.

Inoltre il pool difensivo di Michele Buoninconti ha chiesto invano (ed ora si appellerà ai giudici della Suprema Corte per ottenerla) un'ulteriore perizia sulla causa della morte di Elena Ceste, sostenendo che l'autopsia non abbia dimostrato affatto che la donna sia stata uccisa, né tanto meno che sia stata strangolata.

Al contrario, per gli avvocati Scolari e Marazzita, l'esame autoptico non avrebbe nemmeno rilevato un'importante frattura al coccige - a detta loro "prova" di una caduta - compatibile con la loro ricostruzione dei fatti. Qualora la perizia super partes dovesse essere predisposta, approfondirebbe proprio la natura della frattura di cui in oggetto.

I difensori del vigile del fuoco sostengono che Elena Ceste, la mattina in cui è scomparsa, si sia allontanata da casa, completamente nuda, in preda ad un delirio psicotico. Avrebbe vagato disorientata per i campi circostanti, cadendo accidentalmente nel canalone del Rio Mersa, dove poi sarebbe stata rinvenuta casualmente. La perdita dei sensi conseguente alla caduta ne avrebbe causato la morte per assideramento.

Questa ricostruzione, stando alle sentenze di primo e secondo grado, sarebbe assolutamente inverosimile. Secondo i giudici, infatti, Michele Buoninconti avrebbe ucciso la moglie per gelosia dopo aver letto alcuni messaggi compromettenti sul cellulare, prova di suoi presunti tradimenti. La parola adesso passa alla Cassazione: Michele Buoninconti riuscirà davvero a dimostrare la sua presunta innocenza?