Paradossi della giustizia italiana, è proprio il caso di dirlo, nella vicenda accaduta alle Poste di Vasto, in Abruzzo, dove ad essere condannato, non è stato il dipendente infedele che ,approfittando di avere il possesso delle chiavi della cassaforte, aveva rubato la somma di 15mila euro, bensì l'ufficio postale stesso che si è visto ordinare, da una sentenza emessa dal giudice del lavoro del tribunale di Chieti, l'obbligo di reintegro al posto di lavoro dell'impiegato autore del furto, con tanto di spese legali da pagare ed un anno di stipendi arretrati da versare.
Estate del 2012
I fatti risalgono all'estate del 2012 quando l'uomo, dopo aver sottratto indebitamente la somma di denaro nella sede centrale dell poste di Vasto, essendo stato intercettato in una conversazione telefonica nella quale valutava, parlando con un collega, se fosse il caso di restituire il denaro rubato, è stato scoperto, ma non sono stati adottati, immediatamente, provvedimenti di alcun genere nei suoi confronti, nonostante la rapida denuncia del direttore delle poste. Solamente due mesi più tardi, a seguito delle misure cutelari adottate dal giudice delle indagini preliminari, l'impiegato, anziché essere licenziato dalla direzione delle poste, venne trasterito a Chieti per essere ,successivamete sospeso e poi, reintegrato, di nuovo, un anno e mezzo più tardi grazie ad una istanza presentata dai suoi legali.
Annullato il diritto alla difesa
La sentenza di condanna di primo grado venne emessa dai giudici del tribunale competente per territorio nel 2016 e l'imputato è stato condannato ,solamente, per appropriazione indebita, alla pena di un anno e nove mesi, evitando quella più grave di peculato. In ogni modo, la pena è stata sospesa in attesa ,anche, del processo di appello che deve ancora essere istruito.Ed è ,a questo punto, che le poste italiane fanno scattare il licenziamento che viene,da subito, impugnato dagli avvocati del postino di fronte al giudice del lavoro ottenendo,così,il reinserimento istantaneo al posto di lavoro .Secondo le motivazioni della sentenza, emessa dal giudice Ilaria Pozzo, la società Poste spa, aveva in mano, sin dal 2012, tutti gli elementi per procedere alla contestazione del reato commesso e addottare tutti i provvedimenti disciplinari opportuni e non doveva attendere,quindi, la sentenza penale di condanna per cui, l'ultima decisione presa, riguardante il licenziamento, è risultata tardiva.
Insomma,in parole povere, poste italiane avrebbe dovuto procedere, sin dall'inizio, al licenziamento del dipendente e non dopo cinque anni. A detta di uno dei due avvocati, i diritto alla difesa del suo assistito ha rischiato, seriamente, di essere annullato perchè, a di distanza di un tempo così lungo, trovare testimoni su fatti vecchi, sarebbe stato molto difficile.