Terremoto a Roma e in Sicilia. La guardia di finanza questa mattina ha eseguito arresti a carico di avvocati e imprenditori. Le accuse? Vanno da frode fiscale a corruzione in atti giudiziari e a bancarotta. A coordinare l'operazione le procure di Roma e di Messina. In manette anche l'avvocato Pietro Amara e il sostituto procuratore di Siracusa, trasferito a Napoli, Giancarlo Longo. Tra le pesanti accuse anche quella di aver 'limato' sentenze del Consiglio di Stato.

Carcere pure per Enzo Bigotti, imprenditore che è già sotto inchiesta per Consip, e Fabrizio Centofanti.

Ma come agivano quelli che, alla fine, costituivano una vera e propria organizzazione per delinquere? Riuscivano a orientare alcune gare grazie a decisioni a loro favore da parte dei giudici amministrativi. Avevano insomma un vero e proprio gancio, forse Riccardo Virgili, giudice del Consiglio di Stato che adesso è in pensione, e che è indagato.

I falsi dossier, mercificazione della funzione giudiziaria

Il metodo utilizzato dalla 'banda' copriva tutta la filiera della sentenza.Si arrivava a costruire veri e propri falsi dossier, pur di poter spiare società importanti, come Eni, che era sul tavolo della procura di Milano accusata di tangenti. Gli investigatori hanno lavorato su due inchieste diverse, nel silenzio, fino ad arrivare ai provvedimenti esecutivi emessi questa mattina.

Si arriva alla "mercificazione della funzione giudiziaria", come hanno scritto i magistrati. Il centro del sodalizio era Longo, che aveva mani libere grazie al ruolo che ricopriva per perseguire però interessi personali di terzi, naturalmente dietro laute ricompense. Una condotta tenuta dal 2013 fino ai primi mesi del 2017.

Longo utilizzava tre metodi diversi per accomodare le inchieste: creava fascicoli specchio, che poi si auto assegnava, con l'unico fine di 'guardare' altre indagini, potenzialmente interessanti per clienti famosi degli avvocati Calafiore e Amara.

Creava fascicoli minaccia, in cui venivano iscritti coloro che erano in qualche modo ostili ai clienti di Calafiore.

Infine, fascicoli sponda, che restavano attivi solo per "creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi di consulenza", il cui obiettivo restava sempre il medesimo: fare gli interessi dei clienti di Calafiore e Amara.

Chi sono gli arrestati

In totale, sono 15 gli arrestati nel blitz della Guardia di Finanza di questa mattina. Di Virgilio, Centofanti, Bigotti e Longo abbiamo già detto, poi ci sono Amara, Luciano Caruso, Giuseppe Calafiore (fuori Italia), Alessandro Ferrari, Davide Venezia, Giuseppe Guastella, Salvatore Maria Pace, Sebastiano Miano, Vincenzo Naso e Mauro Verace. Tra le persone indagate risultano esserci anche Gianluca De Micheli e Francesco Perricone.

Longo e le microspie

Giancarlo Longo sospettava che stessero indagando su di lui e si rivolse a un privato che lavorava per la Procura per la bonifica dell'ufficio. Temeva ci fossero microspie nascoste. Al tecnico a cui si rivolse disse che era stato messo in allarme dall'arrivo dei finanzieri di Messina che, effettivamente, stavano davvero indagando su di lui. Nell'ufficio di Longo non furono trovate microspie e allora Longo fece da solo. Qualche giorno fa disse infatti di aver ritrovato le cimici. Una telecamera di sicurezza lo riprende mentre sale sulla scrivania per perlustrare personalmente l'ufficio.

La Procura, per capire chi potesse avergli suggerito che ci fosse un'indagine a suo carico, decise di sequestrargli il cellulare.

All'arrivo, però, il pm non c'era. Era stato infatti messo sull'avviso da un collega, indagato e già condannato per motivi simili. Si tratta di Maurizio Musco. Longo arrivò successivamente in ufficio, ma disse di non avere con lui il telefonino perché era rotto. E dichiarando di averlo dunque lasciato a casa sua, a Mascalucia. Qui, però, non fu ritrovato alcun cellulare.

Ancora Longo e ancora scandali. Nei mesi scorsi, il Consiglio superiore della magistratura lo aveva sanzionato dopo un procedimento disciplinare. Era stato quindi trasferito, lo scorso 26 luglio, da Siracusa dove era pm al tribunale civile di Napoli, come giudice. Un trasferimento richiesto dallo stesso Longo che aveva captato come la situazione a Siracusa si fosse fatta troppo pericolosa.