Si terrà a fine aprile, in base agli ultimi report, un grande summit che prevede, tra i diversi impegni in agenda, un tentativo di riappacificazione e riunificazione nazionale della dittatura di Kim Jong-un con la Corea del Sud e un dialogo tra gli Stati Uniti e la Corea del Nord, una manovra curiosa e inattesa che, se compiuta come sperato dalle potenze occidentali, potrebbe introdurre un nuovo status quo nell'assetto internazionale dei vari Stati occidentali e orientali e una distensione, tanto anelata, nei rapporti finora tesi fra Usa e "North Korea".

Ma veniamo al dunque: stando alle informazioni della Blue House, la presidenza sudcoreana, il leader nordcoreano in persona avrebbe richiesto un dialogo diretto con il presidente degli States Donald Trump, arrivando addirittura a offrire una moratoria delle attività nucleari dello Stato nordcoreano e dei missili (lo stesso che fino a pochi mesi fa continuava a minacciare di star sviluppando armamenti per un attacco all'Occidente), almeno per l'intera durata del colloquio. Una decisione senza dubbio non casuale, dato che notoriamente la denuclearizzazione è la premessa fondamentale per qualunque tipo di negoziazione sia con gli Stati Uniti sia con il Giappone, tanto che in seno a questa parvenza di "aperture", il presidente Trump ha citato "progressi possibili con la Corea del Nord", twittando poi: "Per la prima volta in molti anni sono stati fatti sforzi seri da tutte le parti interessate.

Il mondo sta guardando ed è in attesa! Potrebbe essere una falsa speranza, ma gli Usa sono pronti ad andarci più forte in entrambe le direzioni"

La Blue House di Seul ribadisce come "Pyongyang ha chiarito la sua volontà di denuclearizzare la penisola coreana. Non ci sono ragioni per possedere armi nucleari se la minaccia militare contro la Corea del Nord viene risolta e la sicurezza della Corea del Nord è garantita".

Pare inoltre che tale "pausa nucleare" fosse una possibilità già salutata dal padre del dittatore che governò lo Stato dal 1994 al 2011, quando morì. L'incontro si è rivelato, stando alle fonti, rilassato e permeo di un'"atmosfera patriottica e distesa", che ha consentito il raggiungimento di un accordo soddisfacente per Pyongyang.

Un accordo che potrebbe porre fine, almeno per ora, a quella palpabile tensione di una potenzialmente imminente guerra nucleare, una sensazione romantica tanto "cara" alle vittime psicologiche della Guerra Fredda, di cui molti pensatori si occuparono, focalizzandosi proprio sugli armamenti nucleari.

Davanti alla prospettiva di una guerra nucleare che minacciava di distruggere l'intero genere umano, infatti, non pochi interrogativi si sollevarono dal fronte antinucleare. Il movimento pacifista doveva cambiare le sue strategie? Quali argomenti potevano essere usati per far valere le proprie ragioni di fronte al vasto schieramento che vedeva proprio nell'equilibrio del terrore il mezzo per conservare la pace?

Con la consueta chiarezza che caratterizza i suoi scritti, uno dei maggiori intellettuali italiani del Novecento, il giurista, politologo, storico e filosofo del diritto Norberto Bobbio, classe 1908, delineò nel 1966 una strada pacifista, corteggiando una soluzione pacifica alla minaccia bellica dell'epoca. Pur non nascondendo il suo pessimismo di fondo, prospettava alcune vie di azione razionale e le fondava su una esigenza etica insopprimibile, riportando le sue riflessioni in merito nell'opera "Il problema della guerra e le vie della pace", pubblicata nel 1979. Di particolare interesse in tal senso è un estratto di questo testo di grande importanza per uno sguardo diverso sulla questione della nuclearizzazione, che pare adeguato portare all'attenzione dei lettori: "Di fronte al problema della nuova guerra e delle sue conseguenze [...] le due reazioni più frequenti sono quelle che corrispondono [...] agli atteggiamenti del pacifismo passivo (grassetti del redattore, ndr) e del pacifismo attivo: a) la guerra oggi è diventata tanto terribile e catastrofica per entrambi i contendenti che, come mezzo per risolvere le grandi controversie internazionali, è inutilizzabile e quindi destinata a scomparire (lasciando da parte per ora il problema delle guerre con armi tradizionali che, comunque, non sarebbero in grado di risolvere le grandi controversie internazionali); b) la guerra termonucleare, per le sue conseguenze terrificanti, per la minaccia che porta con sé della autodistruzione del genere umano, e ad ogni modo, anche per i più ottimisti, dell'annientamento di centinaia di milioni di vittime inconsapevoli e innocenti, è rispetto ai valori umani più comunemente accettati condannabile e pertanto bisogna fare ogni sforzo per trovare i rimedi adatti ad eliminarla per sempre.

Il primo atteggiamento è quello che corrisponde alla fiducia nel cosiddetto equilibrio del terrore, per cui la pace sarebbe affidata non al tradizionale instabile equilibrio di potenza ma, al contrario, ad una nuova, più stabile, forma di equilibrio, che è l'equilibrio dell'impotenza (terrore paralizzante). [...] Il secondo atteggiamento è quello che sta dando impulso a tutti i movimenti che in un modo o nell'altro tendono alla formazione di una coscienza atomica. Dal punto di vista del primo atteggiamento, che l'istituzione della guerra, dopo la comparsa dell'arma totale, sia da considerarsi una via bloccata significa che la via della guerra, percorsa sino ad oggi ininterrottamente dall'umanità, è diventata impossibile; dal punto di vista del secondo atteggiamento, significa che, pur essendo possibile, è ingiustificabile (o illegittima).

[...]

Orbene, favorire, oggi, la corsa agli armamenti atomici, significa stimolare a ricerca di mezzi distruttivi sempre più potenti, rapidi e sicuri. L'esperienza degli ultimi vent'anni è molto istruttiva (scriveva nel '79, ndr): non c'è ragione di non prevedere che nei prossimi vent'anni la potenza distruttiva delle bombe non si possa sviluppare con lo stesso ritmo; anzi c'è ragione di ritenere che il ritmo diventi sempre più accelerato, e il traguardo di questa corsa sia, presto o tardi, l'arma assoluta. [...]

Chi vuole la propria vittoria (il trionfo del capitalismo o del socialismo) non è disposto a considerare la morte totale come una soluzione, in quanto accetta il sacrificio (parziale) come un mezzo per raggiungere lo scopo, non come una soluzione finale che renderebbe impossibile il conseguimento di qualsiasi altro scopo.

La guerra atomica per il trionfo del capitalismo o del socialismo è puramente e semplicemente una insensatezza. Ma coloro che la propongono, in realtà, non sono insensati: contano sull'efficacia della minaccia della guerra, non sui risultati della guerra effettiva. Sono gli sfruttatori della situazione che è stata chiamata 'equilibrio del terrore'. Non sono insensati; sono giocatori d'azzardo."

Una catastrofe invero analoga a quella scatenata dalla follia nazista, ma con il surplus di un arsenale di bombe capaci di annientare milioni di esseri umani, scriveva Bobbio in modo così attuale da apparire disarmante, aggiungendo che si tratterebbe di "uno spettacolo a cui non voglio assistere: non perché abbia paura di morire, ma perché avrei vergogna di sopravvivere".