L’allarme è rientrato: la lettera anonima arrivata all’ambasciata italiana a Tunisi era infondata. Nella missiva si accusava un cittadino tunisino, Atef Mathlouthi, di avere legami con il terrorismo di matrice islamica e di essere intenzionato a compiere attentati in Italia ed in particolare a Roma. Subito erano scattate le misure di sicurezza, con un rafforzamento dei controlli nella Capitale: una telefonata – rivelatasi del tutto infondata – che annunciava una bomba nella sede della Rinascente, aveva ulteriormente fatto salire la tensione. Del resto nei giorni scorsi, episodi come il sanguinoso attacco ad un supermercato di Trebes in Francia ed il fortuito sequestro ad Ankara di una grande quantità di Californio – elemento radioattivo usato per le armi atomiche – hanno fatto salire il livello di allerta in tutta Europa.

Lo sfogo del tunisino contro i media

Ma, a distanza di poche ore, per fortuna questa vicenda si sgonfia: Mathlouthi, che in passato ha avuto problemi con la giustizia italiana per reati legati allo spaccio di droga, ha vissuto una brutta giornata in caserma. Ha dovuto rispondere alle domande della polizia tunisina. Ma subito è emerso un particolare rilevante: l’uomo non torna in Italia da parecchi anni. Infatti ha abbandonato il Paese nel 2012, e non è più riuscito a rientrarvi per la mancanza del visto, nonostante abbia lasciato a Palermo la moglie italiana e quattro figli. Raggiunto al telefono dalla redazione di Chi l’ha visto?, il presunto terrorista si è sfogato: “Lavoro da anni in un bar a Mahdia per procurare i soldi per la mia famiglia che si trova in Italia, non sono un terrorista, né tanto meno un latitante, vi denuncio tutti”.

Una vendetta dietro la lettera anonima?

L’uomo ha accusato i media per aver fatto il suo nome, prima delle opportune verifiche: “Mi sono spaventato per quello che è successo, così come tutta la mia famiglia”. Anche la moglie italiana del tunisino, Beatrice, ha spiegato la situazione: “Io e mio marito siamo separati solamente perché lui non riesce ad ottenere il permesso di soggiorno, vogliamo che rientri in Italia”.

La donna rigetta tutte le accuse: “La polizia è venuta qui a cercarlo, ma io stessa sono andata a trovarlo due settimane fa in Tunisia; è assurdo che pensino che Atef sia a Roma”. Allora ci si chiede come sia nato l’equivoco: il sospetto è che la lettera anonima sia stata spedita da qualcuno con cui Mathlouthi ha dei problemi, per vendetta o per arrecargli danno. Secondo il legale della famiglia, l’avvocato Cacioppo, dietro alla missiva ci sarebbe “una questione economica non ancora risolta con un’altra persona”.