Presentata ufficialmente Hannes, la protesi in grado di piegare le dita come fa una mano vera. È stata presentata da Rehab Technologies, il laboratorio che nasce alla fine del 2013 dalla collaborazione tra Inalil e ITT.

Hannes è la protesi che maggiormente si avvicina, in fatto di qualità dei movimenti e conformazione, ad una mano reale. Il suo aiuto può essere di fondamentale importanza nel recupero dei movimenti e nella riduzione, al massimo possibile, delle difficoltà riscontrate da chi è costretto ad utilizzare una protesi. La discussione sulla riduzione delle disabilità è ad oggi al centro di numerosi dibattiti e la presentazione di uno strumento così conforme alla realtà è di certo un passo verso la normalizzazione della qualità di vita delle persone con disabilità fisiche di questo tipo.

Hannes, grazie all'utilizzo di algoritmi, sfrutta gli impulsi elettrici provenienti dal resto dell'arto nel momento della contrazione muscolare e genera movimenti volontari del palmo e delle dita. I movimenti vengono poi calibrati tramite un software che si collega alla mano robotica tramite un sistema bluetooth.

Quando lo strumento di aiuto segna le differenze

La disabilità fisica, specie se evidente, è per chi ne è affetto un problema non solo a livello di riduzione delle capacità fisiche vere e proprie. La disabilità è anche e soprattutto oggetto di stigmatizzazione e di riconoscimento della differenza e del limite. Per quanto vi siano in campo medico numerosissimi strumenti in grado di neutralizzare quanto più possibile i limiti che nascono dalla disabilità, talvolta i soggetti sono riluttanti al loro utilizzo.

I motivi principali per cui un disabile rifiuta inizialmente l'ausilio di strumenti d'aiuto come apparecchi acustici, sedie a rotelle o in questo caso protesi di vario tipo, sono due.

Il primo, riguarda l'accettazione dello strumento in quanto esso segna quella che in gergo sociologico è conosciuta come “epifania”. L'epifania riguarda il passaggio dall'appartenenza al gruppo dei “non disabili” a, di fatto, l'appartenenza al gruppo di persone con disabilità.

Per quanto possa apparirci irrazionale, fin quando non si vede posso far finta che non esista. L'utilizzo di uno strumento di ausilio è definitivamente marchio di disabilità.

E, parlando di marchio, si può trattare la seconda ragione per cui molti sono riluttanti all'accettare strumenti d'aiuto. Se il primo motivo riguardava l'accettazione personale della disabilità, in questo caso parliamo di accettazione da parte del pubblico.

Mostrare l'utilizzo di uno strumento ne segna l'evidenza, per sé ma anche per gli altri: il timore è legato sia al concetto di stigmatizzazione, dunque di sentirsi “marchiati a vita”; sia al concetto di differenza. Il punto sta nelle conseguenze: il modo di essere guardati, di essere trattati, talvolta anche con timore o con zelo, segna l'effettiva differenza e la presenza di uno strumento ne accentua le possibilità.

Cronicità e resilienza: verso l'accettazione

L'arrivo di una malattia cronica, o di una disabilità cronica, è sicuramente un evento improvviso e non calcolato, che sconvolge irrimediabilmente l'intera esistenza di un individuo. Il cambiamento, cioè il passaggio da uno stato ad un altro, è da considerarsi una sorta di lutto: un passaggio dalla normalità all'inconsueto.

Le reazioni, come abbiamo considerato, possono essere disparate. In genere si può reagire con abbattimento, tristezza, perdita di speranze. D'altra parte però si può reagire e andare alla ricerca di modi e strumenti d'aiuto, di speranze in un mondo che sembra senza speranze. La capacità di sopravvivere ad un cambiamento di questo genere è detta resilienza.

Il concetto di resilienza nasce in ambito scientifico ed è specificatamente diretto alla capacità di un materiale di subire un urto e tornare più o meno alla sua forma originaria. In psicologia il concetto è stato trasposto alle capacità di un essere umano di subire un forte “impatto con la vita”, in questo caso un forte cambiamento che sconvolge tutte le abitudini di una persona e di reagire cercando di tornare, quanto più possibile, come prima.

In poche parole: cadere, farsi male, ma rialzarsi.

Come affrontare il cambiamento: le caratteristiche della resilienza

Una delle più importanti caratteristiche della resilienza è quello che in psicologia è conosciuto come “insight”. Insight significa introspezione, capacità di guardarsi dentro, di riflettere su se stessi. Bisogna, in questi casi, rispondersi sinceramente e riconoscere le proprie risorse e cercare di rafforzare i propri limiti, soprattutto emotivi. In secondo luogo, l'indipendenza intesa come concetto di distanza dalla malattia e dai problemi che ne conseguono.

Altri fattori importanti sono l'interazione, quindi la capacità di instaurare rapporti con intimi e non solo; e la creatività: mettersi in gioco per andare alla ricerca di soluzioni e modi d'agire che possano ridurre la sofferenza che deriva dal problema da affrontare.

La resilienza è sicuramente un cammino, una capacità da acquisire lentamente e passo per passo. In questi casi è di fondamentale importanza, a parte le caratteristiche sopra descritte, anche l'aiuto che proviene da amici e familiari. Il condividere, l'aiuto pratico e morale sono infatti alla base della possibilità di raggiungere un equilibrio ed un buon livello di resilienza.