Sono le 7:11 alla stazione di Notogawa — provincia di Shiga, Giappopne — il treno per Tokyo della West Japan Railways è in partenza, la chiusura delle porte è prevista per le 7:12 ma il convoglio lascia la banchina alle 7:11 e 35 secondi. Il capotreno ha infatti chiuso le porte 25 secondi prima del dovuto, tuttavia, accortosi repentinamente dell'errore, ha controllato che non vi fossero passeggeri intenti a prendere il treno all'ultimo secondo. Non scorgendo nessuno lungo i binari, ha dato il via libera per la partenza; infatti, se avesse riaperto le porte, il tempo necessario alla procedura sarebbe stato registrato come un ritardo sulla tabella di marcia.
Il caso ha però voluto che non tutti fossero già a bordo e che qualche passeggero — forte della precisione e puntualità della compagnia ferroviaria — avesse l'intenzione di prendere quel treno proprio in quei 25 secondi. Nel Sol levante la precisione delle compagnie ferroviarie è assoluta, la puntualità è il fiore all'occhiello di un sistema di trasporto tra i più avanzati al mondo. Il ritardo di un treno, anche se di pochissimi secondi, è un fatto gravissimo che la West Japan Railways non ha potuto tollerare ed ha provveduto subitamente scusandosi.
Non è la prima volta
Un fatto simile si è verificato lo scorso Novembre alla stazione di Tsukuba, dove il treno espresso per Tokyo è partito anticipando di 20 secondi la tabella di marcia.
L'amministratore delegato della Tskuba Express si è così scusato:"Un errore imperdonabile, ci scusiamo con tutti i cittadini per il grande disagio causato. L'equipaggio non ha controllato l'orario". Per capire quanto questo possa essere grave, bisogna ricordare che in Giappone i treni sono estremamente precisi negli arrivi e nelle partenze, tanto che molti pendolari sincronizzano i propri orologi con quelli delle compagnie ferroviarie.
Non è colpa delle ferrovie
Il motivo di tanta agognata puntualità non risiede nello stacanovismo delle compagnie ferroviarie: o meglio, non solo. La puntualità dei treni è fondamentale, non solo per le coincidenze, ma anche e soprattutto per raggiungere in orario la sede lavorativa. Lavorare in Giappone significa dare tutto all'azienda per la quale si è assunti, significa essere puntuali e precisi, significa lavorare sodo e cumulare straordinari su straordinari.
Un esempio concreto è il fatto che nella lingua nipponica esista un vocabolo —karoshi — per indicare "la morte per il troppo lavoro": il fenomeno è diffuso, tanto che il Giappone risulta il primo paese al mondo per decessi causati per arresto cardiaco da stress.
La sindrome di workaholism, un disturbo ossessivo compulsivo riscontrato negli individui che antepongono il lavoro a qualunque altra attività, è noto in Giappone fin dagli anni '60, quando avvenne il primo decesso accertato.
La società, gli amici, l'ambiente di lavoro ed il consenso che il workaholic si costruisce giorno per giorno lo fanno mimetizzato tra la società, invisibile, rispettabile, tanto da non comprendere il motivo per cui la famiglia si lamenta.
È questo il classico segno di riconoscimento del workaholic: il dualismo tra consenso esterno e notevole risentimento dei familiari. Ma chi vive con un workaholic si sente tradito, impotente: competere con un'ossessione così forte è impossibile.
L'impresa comunità
Se in occidente la sociologia — contemporanea e moderna, da Marx a Weber — ha sempre analizzato l'etica del lavoro partendo da concetti quale l'alienazione, nel Sol levante il problema si ribalta. Il lavoratore si aliena dalla società, viene inglobato all'interno della macchina produttrice fin dal giorno dell'assunzione.
Così il lavoratore si sente parte integrante dell'organizzazione, un membro di quell'impresa, seconda casa o seconda famiglia intorno al quale si sviluppa un forte senso di appartenenza.
Il tutto parte già nelle prime fasi del reclutamento, il futuro lavoratore è infatti selezionato ancora prima di entrare effettivamente nel mercato del lavoro, sono già le scuole ad occuparsi delle segnalazioni.
Infine c'è l'impiego a vita che si mescola a gerarchia, merito e reputazione, creando un riferimento valoriale molto rigido che trascende al sola vita aziendale e permea la totalità dell'agire individuale.