Torna a ripetersi un fatto di cronaca tristemente noto, questa volta a Palermo. Di nuovo l’ambiente famigliare si trasforma in un luogo di violenze, maltrattamenti, minacce e abusi. Di nuovo la famiglia diventa aguzzina, invece che protettrice, come dovrebbe essere. Sono stati condotti in carcere, in attesa del processo, sia la madre che il padre della figlia-vittima. Perché in questa vicenda non sembra esserci solo il papà orco.
Abusata per 11 anni
La piccola aveva sette anni quando le violenze fisiche e sessuali hanno cominciato a verificarsi in quella che all’apparenza era una famiglia come un’altra del capoluogo siciliano.
La bambina non avrebbe mai più avuto tregua, perché quegli abusi si sarebbero protratti per ben undici anni, anche di più se a diciott’anni quella bambina, diventa ormai ragazza, non avesse trovato il coraggio di denunciare quanto successo. Le violenze, stando a quanto riportato dalla vittima, si sono verificati con regolare costanza per undici anni, quasi tutti i giorni. Dopo gli abusi, seguiva solitamente quella fisica e verbale, fatta di botte ed intimidazioni. In questi riti di maltrattamento giornalieri, la madre sembra non aver avuto un ruolo attivo, bensì passivo, come succede spesso in queste tristi vicende. Seppure sapeva, la donna restava in silenzio. Perché, però, anche la madre è stata condotta in carcere e al processo dovrà rispondere all’accusa di maltrattamento?
Dopo che la figlia ha finalmente trovato il coraggio di esporre denuncia, la donna, insieme al marito, l’avrebbe minacciata affinché la ritirasse. Sebbene la ragazza fosse stata trasferita in un luogo sicuro, la madre era riuscita lo stesso a mettersi in contatto con lei e questi avvertimenti sarebbero stati talmente spaventosi che la ragazza, ora ventunenne, avrebbe temuto per la sua sicurezza, tanto da cambiare le sue abitudini, anche quelle lavorative.
Forse adesso la ragazza potrà finalmente trovare un po’ di pace, sebbene le ferite e i traumi di questo genere impieghino anni e anni per essere superati.
Perché accade in famiglia?
Le vittime, solitamente, non denunciano subito. Spesso rimangono in silenzio per giorni, mesi, anni. A volte non riportano affatto gli abusi. Chi subisce questo tipo di abuso si vergogna, teme di non essere creduto e teme le ripercussioni, per questo sceglie il silenzio. Quando fatti come questo si verificano in casa, la situazione diventa più gravosa.
La figlia-vittima deciderebbe di tacere anche per salvaguardare, paradossalmente, quell’illusorio equilibrio familiare. Inoltre, la figlia, se esponesse denuncia, non andrebbe a denunciare un estraneo o un collega, ma la propria famiglia. L’uomo che le ha messo le mani addosso, l’uomo che l’ha abusata non è un uomo qualunque, ma il padre. Perché, però, i casi di violenza si verificano spesso dentro le porta domestiche? La risposta si trova nel retaggio di una civiltà patriarcale, secondo cui il padre-padrone vedrebbe come sue proprietà la consorte e la figlia. In un mondo, poi, dove i ruoli cominciano a non essere più definiti e assegnati per genere, il padre-padrone può sentirsi minacciato. Teme l’emancipazione femminile e cerca di ristabilire con la violenza il suo ruolo e il suo dominio, dove sente che la civiltà moderna glielo stia portando via.