Lo avevamo visto tutti durante la finale dei mondiali di calcio: era entrato in campo insieme a tre ragazze vestito da poliziotto in alta uniforme, interrompendo per qualche istante la gara tra Francia e Croazia per protestare contro le persecuzioni politiche in Russia. Si tratta Pyotr Verzilof, attivista e marito di Nadya Tolokonnikova, una delle componenti del collettivo artistico Pussy Riot. Secondo Veronika Nikulshina, un’altra delle ragazze del gruppo che da anni porta avanti la sua protesta nei confronti di Vladimir Putin, l’uomo sarebbe stato ricoverato in gravi condizioni nel reparto di tossicologia di un ospedale di Mosca.

Al momento non circolano molte notizie relative a questo episodio nei media russi: per alcuni sarebbe fondata l’ipotesi di un avvelenamento dell’uomo.

Il ricovero dopo aver partecipato ad un processo

Secondo la Nikulshina, Verzilof avrebbe perso in parte la vista e la capacità di parlare. L’attivista che in passato ha pure creato sul web la testata indipendente Zona.media, si sarebbe sentito male la sera di martedì 11 settembre, mentre era a casa sua, dopo aver partecipato ad un processo amministrativo contro Veronika, che da qualche tempo conviveva con lui.

Sarebbe stato portato di corsa presso l'ospedale Bakhrushini del distretto Sokolniki di Mosca. Da quel momento le notizie su di lui si sono fatte più scarne: si sa che non è stato concesso nemmeno alla madre di vederlo o parlargli, né tanto meno di avere maggiori informazioni sul suo effettivo stato di salute.

A quanto pare l’uomo, subito prima di essere ricoverato, avrebbe assicurato al personale sanitario di non aver fatto uso di stupefacenti.

Un collettivo che dal 2011 combatte contro le alte gerarchie del potere in Russia

Questa inquietante vicenda giunge a pochi mesi dal caso Skrypal, l’ex agente segreto russo ormai cittadino britannico, avvelenato col gas nervino in Inghilterra, episodio che ha scatenato una vera e propria guerra diplomatica, con un reciproco scambio di accuse tra i due Paesi coinvolti.

Anche se si sa ancora poco di questo probabile ennesimo caso di avvelenamento, è facile intuire perché il collettivo delle Pussy Riot sia mal visto dalle alte gerarchie del Cremlino. In Occidente si pensa che si tratti di una band punk femminista: ma questa è solo una delle attività del gruppo, fondato nel 2011. Numerose sono le performance portate in scena in pubblico, filmate e postate in rete insieme a comunicati che ne chiariscono significati ed obiettivi.

Per esempio l’invasione di campo durante la finale dei mondiali voleva sottolineare come l’atteggiamento amichevole e garbato della polizia con i turisti stranieri nel corso della manifestazione fosse lontano anni luce da quello violento ed inflessibile, manifestato quotidianamente contro gli oppositori di Putin.

Celebre anche la “preghiera punk” del collettivo all’interno della chiesa del Cristo Salvatore di Mosca, in occasione delle presidenziali del 2012, ideata per criticare duramente il sostegno della chiesa russa al potere politico.