Oltre a dover affrontare le critiche interne e internazionali legate alla politica estera e ad altre innumerevoli questioni, la presidenza Trump non è amata nemmeno dai musicisti che, negli ultimi tempi, in diverse occasioni hanno chiesto al presidente americano di non usare le loro canzoni durante i comizi. A questa lunga lista ora si aggiunge anche Prince, o meglio, la famiglia del musicista morto il 21 aprile 2016.

I familiari dell'artista statunitense, infatti, hanno ufficialmente intimato al leader della Casa Bianca di non utilizzare sia "Purple Rain" che gli altri brani nel corso degli incontri politici, giacché non è mai stato concesso alcun permesso di utilizzo.

Il comunicato è stato diffuso tramite un tweet pubblicato da Omarr Baker, fratellastro della compianta star della musica internazionale.

Il messaggio è arrivato dopo un evento politico tenuto da Donald Trump la scorsa settimana in Mississippi, quando l'incontro si è aperto proprio sulle note di "Purple Rain". L'intervento della famiglia del cantante ha valore legale e potrebbe fare da preludio ad eventuali azioni giudiziarie: in gergo questa pratica viene definita "cease and desist", e consiste proprio in una lettera inviata ad un determinato soggetto affinché termini di compiere un'azione, prima che si decida di proseguire legalmente a tutti gli effetti.

Insomma, una sorta di ultimatum "mascherato".

Il presidente meno amato dai musicisti

Questo non è il primo caso in cui un musicista o una band scendono in campo per vietare a Trump di utilizzare la loro musica: ad esempio Neil Young, dopo un dibattito piuttosto vivace, impose all'allora candidato repubblicano il divieto di fare ricorso ai suoi brani durante i comizi per la campagna elettorale.

Nello specifico si trattava di "Rockin' in tre Free World". Inoltre lo stesso cantautore canadese non ha esitato, durante un concerto, a mandarlo letteralmente a quel paese.

Prima di Neil Young c'erano stati i Rolling Stones, che avevano chiesto e ottenuto che non fossero più utilizzati due brani simbolo della band, ovvero "You can't always get what you want" e "Start me up" durante i comizi elettorali.

Stesso discorso vale per Adele, i Rem, Elton John, gli Aerosmith, e i Pearl Jam. Questi ultimi, in particolare, pare che provino una sorta di odio nei confronti del presidente americano, avendo anche inserito il cadavere dell'attuale inquilino della Casa Bianca in un loro poster.

Non solo Trump, comunque: infatti non è la prima volta che tra autorità politica e mondo della musica emergono malumori e accuse reciproche: basti pensare a Roger Waters che, in un recente concerto in Brasile, si è scagliato contro il candidato presidenziale Bolsonaro, oppure ai messaggi di solidarietà e integrazione lanciati dagli U2, e alle loro parole in difesa dell'Europa e dei suoi valori fondanti, che negli ultimi tempi sembrano scricchiolare.