La cronaca del delitto dell'Omodeo continua a emergere in frammenti di intercettazioni su cui gli inquirenti lavorano ormai da settimane. Nell'ordinanza di fermo dei cinque presunti assassini di Manuel Careddu è tutto nero su bianco, orrore dopo orrore. 36 pagine che portano la firma del procuratore di Oristano, Ezio Domenico Basso, e del pm Andrea Chelo. Il 18enne di Macomer era scomparso lo scorso 11 settembre. Non è stato un allontanamento volontario. Il ragazzo è stato ucciso dopo un agguato teso da un gruppo di giovanissimi, ora in arresto.

Il ritrovamento del corpo, dopo oltre un mese di ricerche, è soltanto l'ultimo tassello di un agghiacciante mosaico di sangue e brutalità.

Ucciso senza pietà

Ucciso da un branco di giovani spietati sulle rive del lago Omodeo, per un presunto debito di droga. Il cranio di Manuel Careddu sarebbe stato sfondato a colpi di piccone e badile. Il suo corpo seppellito nudo sotto 30 cm di terra, dopo essere stato fatto a pezzi con una motosega.

Nessun documento utile a una prima identificazione, nessun elemento che abbia permesso di chiarire se quei resti appartenessero a un uomo o una donna. Lo ha precisato il procuratore Basso nell'immediatezza del ritrovamento, con tutte le dovute cautele che soltanto un'autopsia può sciogliere.

Una sola parola per indicarne lo stato: irriconoscibile.

Il cadavere era stato occultato in un appezzamento di terra in uso al padre di uno degli arrestati, anch'egli sotto inchiesta per un omicidio avvenuto nel 2017 ad Abbasanta. Per questo, a bordo dell'auto che il branco credeva trincea di segreti, sicura e impenetrabile, era stata posizionata una microspia che si è rivelata decisiva per risolvere gran parte del giallo Careddu.

Il 10 ottobre l'arresto di Christian Fodde, Matteo Satta e Riccardo Carta (20enni), N.C e G.C (17enni, un ragazzo e una ragazza). Le accuse a loro carico sono pesantissime: concorso in omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere.

La voce di un sesto complice

Una settimana dopo la svolta, le forze dell'ordine hanno messo il fiato sul collo di un possibile complice, quantomeno una persona informata dei crimini contestati ai cinque indagati.

Qualcuno talmente vicino ai presunti killer da essere salito in auto con Fodde e aver detto qualcosa di verosimile interesse investigativo: "Non ho ancora realizzato". Siamo al giorno 12 settembre, circa 24 ore dopo l'esecuzione del 18enne, e questa voce entra per la prima volta nelle intercettazioni. La risposta che Fodde dà al sesto uomo è chiara: "Non è un gioco, quello di ammazzare va bene... è il dopo".

Secondo gli inquirenti, l'interlocutore del 20enne arrestato potrebbe riferirsi proprio all'omicidio Careddu, di cui potrebbe essere venuto a conoscenza attraverso il racconto di uno o due membri del branco. Una figura che non sarebbe entrata in azione durante l'omicidio ma per cui sarebbe ipotizzabile il reato di favoreggiamento.

Secondo le ultime indiscrezioni, la sua identità sarebbe stata accertata e si starebbe valutando un eventuale provvedimento a suo carico.

Il riconoscimento del cadavere

L'autopsia, fissata per il 20 ottobre, non è sufficiente per il riconoscimento ufficiale del cadavere: è talmente compromesso da rendere necessario l'esame del Dna. In avanzato stato di decomposizione e quasi scheletrito, il corpo mostra comunque i segni della violenza subita. Non è chiaro se ci sia stato anche un accanimento post mortem. I resti sono stati occultati in un terreno poco distante dal cimitero di Ghilarza, lo stesso in uso al padre di Christian Fodde. Sarebbe stato proprio quest'ultimo a scegliere dove seppellire il 18enne dopo lo spostamento del corpo dal luogo del delitto.

Le intercettazioni in auto: 'Io me la rido'

Il ritratto del branco emerge in tutta la sua sconvolgente caratura attraverso le intercettazioni raccolte nella macchina di Fodde. Tra le parole cristallizzate in quelle macabre sequenze audio si sentono anche rumori metallici, ascrivibili al maneggio delle presunte armi del massacro. Si tratterebbe di una pala, un piccone e una motosega.

Alle 22:51 dell'11 settembre, la microspia intercetta i singhiozzi della 17enne, che sarebbe in auto ad aspettare il compimento dell'esecuzione. Il minorenne si rivolge alla coetanea: “Il cofano aprimi, quel ragazzo è fuori!”. Poi entra in scena la voce di Christian Fodde: “Mi devo pulire le scarpe… accendi le luci della macchina”.

Sempre Fodde, rivolgendosi alla 17enne (che è anche la sua fidanzata) dice: "Dovevi vedere per credere? Io me la rido perché non me ne frega un c... eh vabbè. Non me ne devi dare soldi perché... è difficile che lo dici".

Dopo aver ucciso Manuel si parla anche di mettere a tacere un ragazzo che 'sa'. "Lo uccidiamo?": questa la domanda della 17enne a Fodde. Poi la risposta del 20enne: "Mi devo sporcare per un essere... arrivederci...".

Da quell'11 settembre al 9 ottobre (giorno prima dell'arresto), i cinque si sono convinti di aver compiuto il delitto perfetto. Invece hanno tessuto le trame di un racconto che li inchioda, blindando la loro posizione nel perimetro di gravissime responsabilità.

Nel mirino degli inquirenti poco dopo la scomparsa del 18enne

I cinque ragazzi, in realtà, erano già entrati nel fuoco investigativo dei carabinieri di Ghilarza e Oristano poche ore dopo la scomparsa della vittima. Uno spiraglio verso la svolta sarebbe arrivato dopo la denuncia presentata dalla madre di Manuel Careddu, Fabiola Balardi.

Il pressing della donna, che avrebbe fatto alcuni nomi alle forze dell'ordine avanzando i primi sospetti, sarebbe stato percepito come una minaccia per la stabilità del piano della banda. Sarebbe per questo che, pochi giorni dopo l'omicidio del 18enne, Christian Fodde pensa a come gestire a modo suo quella situazione di 'pericolo': "La prossima volta che mi denuncia le stampo un proiettile in testa". Frase che sembra potersi riferire proprio all'ipotesi di uccidere anche la donna.