Le intercettazioni sul giallo dell'Omodeo pesano come macigni e aprono un varco nel fitto sottobosco di orrori che ha alimentato il piano omicida per far sparire Manuel Careddu. Il 18enne di Macomer, scomparso lo scorso 11 settembre, sarebbe stato ucciso da un branco di giovanissimi. I presunti assassini sono stati arrestati il 10 ottobre (un mese dopo l'ultimo avvistamento di Careddu ad Abbasanta). In manette i 20enni Christian Fodde, Matteo Satta e Riccardo Carta (di Ghilarza), il 17enne N. C. (di Ghilarza) e la 17enne G. C., originaria di Macomer ma residente ad Abbasanta e fidanzata di Fodde.

Pronti a uccidere anche la madre

Tre degli arrestati furono sentiti dagli inquirenti quando ancora si procedeva sul piano della scomparsa e non per omicidio. Alle domande delle forze dell'ordine avrebbero risposto con alcune menzogne, atte a tentare di sgretolare velocemente la cinta di sospetti che, evidentemente, sentivano stringersi intorno alla loro posizione. Fodde, Satta e G.C. non erano ancora iscritti nel registro degli indagati. Ma i nomi sarebbero stati segnalati dalla madre del Careddu alla polizia, che forse sospettava un loro coinvolgimento attivo nel giallo. Una intercettazione, in particolare, evidenzierebbe la determinazione della banda: "La prossima volta che mi va a denunciare, le stampo un proiettile in testa".

Nessun nome, ma il riferimento a Fabiola Balardi, madre della vittima, sarebbe ormai una certezza. La voce sarebbe quella di Christian Fodde, che pochi giorni dopo la morte del 18enne parla con i due minorenni di come reggere il gioco del silenzio.

La ricostruzione

11 settembre. Il pullman che conduce Manuel Careddu da Cagliari ad Abbasanta si ferma alla stazione e il giovane incontra la 17enne, che insieme ai 4 del gruppo dovrebbe saldargli un esiguo debito di droga.

I ragazzi convincono il 18enne a salire a bordo dell'auto guidata da Fodde con la promessa di incassare il dovuto in una zona nei pressi del bacino artificiale. Satta sarebbe l'unico a restare in paese, tenendo in custodia i cellulari degli amici che credono, così, di compiere il delitto perfetto sganciandosi dalle celle intorno alla scena del crimine.

Il viaggio verso la fine di Manuel vede in macchina la vittima insieme a Fodde e ai due minorenni. Carta aspetta sulle sponde del lago.

Non sanno, ovviamente, che la vettura è intercettata: una microspia segue gli spostamenti del padre di uno di loro, sotto indagine per un altro omicidio, quello di Mario Atzeni (ucciso nel settembre 2017). In quell'abitacolo sono minuti di apparente normalità (secondo la ricostruzione circa una ventina) che si tradurranno, poco dopo, in una delle pagine forse più cruente delle recenti cronache.

Il gruppo arriva sulle rive del Lago Omodeo, che sarebbe il luogo scelto dal branco per la condanna a morte di Manuel Careddu. Dal cofano qualcuno estrae una pala, un piccone e delle funi.

Sono le armi del massacro che poi trasformeranno il delitto in un vero e proprio giallo. A bordo ci sarebbe anche una motosega. Ucciso a colpi di pala dopo una picconata in faccia, poi spogliato e legato. Infine seppellito per essere poi dissotterrato e gettato in acqua. Sarebbe questa una delle possibili dinamiche dell'omicidio Careddu, sequenza (prima, durante e dopo l'azione omicidiaria) che è ancora al vaglio degli inquirenti e che è avvolta dalla sostanziale assenza di collaborazione degli indagati. La mattanza sarebbe andata avanti per circa due ore, tra l'esecuzione materiale del delitto e la fase secondaria di "pulitura" di scarpe e indumenti. In macchina, ad assistere alla spietata esecuzione, sarebbe rimasta la 17enne (il cui pianto sarebbe stato intercettato dalla microspia).

Poco dopo, compiuto il massacro, i tre si sarebbero occupati di pulire e poi far sparire anche il telefonino di Careddu.

13 settembre. Manuel non dà segni alla famiglia da due giorni, e dopo un primo appello sui social scatta la denuncia. A presentarla è la madre, Fabiola Balardi, che riceve (sostiene ai microfoni della Nuova Sardegna) anche una breve visita da parte della 17enne ora arrestata. Sarebbe quest'ultima a riferire alla famiglia del ragazzo di averlo visto per l'ultima volta ad Abbasanta, la sera della scomparsa, ma "soltanto di sfuggita".

4 ottobre. Sono le 16:42 quando sul profilo Facebook di Careddu compare un post che suscita una grande suggestione, alla luce della successiva svolta investigativa.

Si tratta di un messaggio di dolore e rabbia, pubblicato da un amico del 18enne che, a quella data, risulta ancora scomparso. Spicca, per tono e contenuto, tra tutti i commenti di solidarietà alla famiglia e gli appelli. Sembra la descrizione di un Manuel Careddu "strappato" ai suoi affetti da soggetti non meglio identificati, con verbi al passato che sembrano un riferimento a una persona che non tornerà mai più. Quasi un presagio. O forse molto di più: qualcuno sapeva che Manuel era già morto? Il post si conclude con un riferimento a un gruppo imprecisato di persone che "stanno nell'ombra" e continuano a vivere come se nulla fosse. Sino al giorno prima del loro arresto, i presunti assassini hanno continuato a vivere come se non fosse mai accaduto nulla.

Lo testimonia l'attività del branco sui social che si conclude, di fatto, il 9 ottobre e che rimanda a una vita quotidiana apparentemente irreprensibile. Alle spalle, un fiume di orrore.

La svolta e l'arresto di cinque giovanissimi

10 ottobre. Manca un giorno perché sia trascorso un mese esatto dalla scomparsa di Manuel Careddu. Sembra sempre tutto fermo all'istante in cui la madre ha perso i contatti con il figlio, con un ultimo, tranquillizzante sms: "Ci vediamo più tardi". Eppure, nell'ombra gli inquirenti hanno avuto modo di carpire un impianto di indizi schiaccianti a carico dei 5 ragazzi. Intercettazioni dal tenore talmente sconvolgente che è impossibile non abbiano avuto un ruolo attivo nel giallo Careddu.

Ad Abbasanta e Ghilarza vengono eseguiti gli arresti, convalidati il 15 ottobre dai gip del Tribunale di Oristano e del Tribunale per i minorenni di Cagliari. Fodde, Satta e Carta restano nel carcere di Massama (Oristano). Il minorenne N. C. nel minorile di Quartucciu e la coetanea G. C. in un minorile femminile a Roma. Pesantissime le accuse che gravano su di loro: omicidio pluriaggravato e occultamento di cadavere. Il corpo (è questa l'ipotesi peggiore nel ventaglio dei possibili scenari) potrebbe essere stato dato in pasto agli animali.