Sea Watch 3 e Carola Rackete, rispettivamente nave e capitano di nave più popolari delle ultime giornate continuano a fare notizia. Erano le ore 1:50 del 29 giugno quando il comandante del grosso Cargo da 6 tonnellate ha spinto la nave fino alla banchina del porto commerciale di Lampedusa, senza autorizzazione e speronando una motovedetta della Guardia di finanza che cercava di impedirne l'attracco. Il capitano accusata di violenza e resistenza a nave da guerra è stata subito arrestata e messa ai domiciliari in una casa di Lampedusa presa in fitto dalla Ong tedesca.

Oggi c'è stata l'udienza di convalida degli arresti, un interrogatorio durato la bellezza di oltre 2 ore. Come ipotizzato durante le ore immediatamente precedenti il via del confronto davanti al Gip incaricato, la Rackete domani sarà liberata dagli arresti domiciliari e su di lei scatterà il divieto di dimora a Lampedusa e in tutta la provincia di Agrigento oltre ad una probabile espulsione dalla penisola.

Due filoni di inchiesta

Subito dopo il fermo ad opera della Guardia di finanza, più o meno un'oretta dopo l'attracco della Sea Watch, la Rackete pare abbia chiesto scusa ai finanzieri che erano sulla motovedetta che hanno rischiato di essere schiacciati dalla nave. Il Gip ha confermato la detenzione rimandando a domani la decisione sul divieto di dimora.

Tra le accuse mosse dalla Procura e confermate dal Gip non c'è quella di tentato naufragio come inizialmente previsto, un'accusa che da sola vale fino a 12 anni di carcere. Restano quelle di violenza e resistenza a nave da guerra che invece prevedono da 3 a 10 anni di reclusione, anche se i legali della Rackete stanno provando a smontare il fatto che una motovedetta della Guardia di finanza possa essere considerata una nave da guerra.

Parallelamente a queste accuse si muove sempre il secondo filone di inchiesta, quello relativo al grave reato di favoreggiamento all'immigrazione clandestina. Secondo la Procura bisogna appurare se il recupero dei migranti in acque libiche è stato reso necessario dalla mancanza di sicurezza della zona Sar libica.

La difesa della Rackete non ha convinto la Procura

"Non volevo speronare i finanzieri" queste le parole del capitano tedesco, Carola Rackete, pronunciate ieri ed anche oggi davanti al Gip. Per la Procura però questo non può essere sufficiente perché la manovra è stata irruenta e volontaria e, soprattutto, non reggono le motivazioni addotte dalla Rackete circa la necessità del suo comportamento. La capitana aveva dichiarato (cosa ripetuta pari pari anche oggi davanti il Gip), che la manovra era obbligatoria, che aveva atteso il via libera del governo italiano all'attracco, ma dopo il bollettino medico che parlava di situazione sanitaria compromessa per molti dei 40 migranti a bordo (secondo la Rackete qualcuno pensava al suicidio), ha deciso di forzare il blocco della Gdf.

Una tesi che per la Procura non regge perché nella documentazione non c'è nulla che comprovi le urgenze di cui parla la Rackete. È vero che erano 17 giorni che la nave era in mare ma chi era a bordo aveva ricevuto assistenza medica da terra.