"Alla fine la colpa sarà di chi stava in hotel, di chi lavorava a Rigopiano, e di chi c'è andato in vacanza": le parole sarcastiche di Alessio Faniello, padre di Stefano, una delle 29 vittime dell'hotel di Rigopiano di Farindola, ben sintetizzano la reazione amarissima dei familiari delle vittime.
Nell'ambito dell'inchiesta madre sull'hotel Rigopiano, il gip del tribunale di Pescara, Nicola Colantonio, ha disposto l'archiviazione delle accuse nei confronti di 22 indagati, tra i quali tre ex governatori. Sembrerebbe essere una strage senza colpevoli quella del resort invernale, spazzato via da una valanga il 18 gennaio del 2017.
Rigopiano, dalla tragedia al processo: uscita di scena di 22 indagati
Alle 16 e 47 del 18 gennaio 2017, una valanga di 40 mila tonnellate divarica il bosco, strappa via gli alberi e tutto ciò che trova al suo passaggio e, arrivata all'hotel Rigopiano, lo rade al suolo sotterrando vive 40 persone. Solo in 11 riescono a salvarsi, le alte 29 sono estratte morte dai soccorritori che lavorano in condizioni estreme. Dalla mattina di quel terribile giorno, partono richieste di aiuto: l'hotel è circondato da due metri di neve, 40 persone sono rimaste bloccate perché le strade sono inagibili. Quella mattina si verificano 3 scosse di terremoto molto forti. Un dipendente, il cameriere Gabriele D’Angelo, tra le 29 vittime, chiama in Prefettura, già molte ore prima della valanga, per chiedere aiuto al Posto coordinamento avanzato presso la sede della Croce Rosssa.
I soccorsi arrivano sul posto 17 ore dopo e impiegano più di 30 ore prima di individuare i primi sopravvissuti. I superstiti sono tirati fuori dopo 60 ore trascorse al buio e al freddo.
Nell'ambito dell'inchiesta madre, il gip di Pescara, Nicola Colantonio, ha accolto la richiesta di archiviazione della posizione di 22 indagati, fatta dal procuratore capo Massimiliano Serpi e dal sostituto Andrea Papalia.
Alla richiesta si erano opposti alcuni legali dei familiari delle vittime. "Le risultanze investigative non permettono di sostenere l'accusa in giudizio", ha rilevato il gip nella sua ordinanza con cui dispone l'archiviazione dei 22 indagati tra cui, gli ex governatori della Regione Abruzzo, Luciano D'Alfonso, Ottaviano Del Turco e Gianni Chiodi.
Tra coloro che escono dall'inchiesta, vi è anche Daniela Acquaviva, funzionaria della Prefettura di Pescara che, alle prime richieste di soccorso dopo la valanga, giunte telefonicamente dal ristoratore Quintino Marcella, rispose: "Questa storia va avanti da stamattina, i vigili del fuoco hanno fatto le verifiche e non c'è nessun crollo all'hotel Rigopiano. Il 118 mi conferma che non è crollato nulla, stanno tutti bene. La mamma dell'imbecille è sempre incinta. C'è qualcuno che si diverte, che avrà preso il numero". Riattaccò il telefono a chi la chiamava, dicendo di avere cose più importanti da fare.
Ma l'albergo era isolato dall'alba, i vigili del fuoco non avrebbero potuto fare alcun sopralluogo e il disastro era purtroppo accaduto.
Acquaviva resta imputata nel procedimento bis per il presunto depistaggio che si sarebbe verificato all'interno della Prefettura di telefonate e messaggi di richiesta d'aiuto, scomparsi per 22 mesi. Nell'inchiesta 'madre' restano indagati, ma solo per alcune ipotesi di reato, figure pubbliche minori e il titolare del resort. Invece, la società proprietaria dell'hotel travolto dalla valanga, si è costituita contro tutti gli imputati chiedendo un risarcimento di 4,5 milioni di euro, con una provvisionale di 2,5 milioni di euro. Massimo e Romolo Reboa, gli avvocati che assistono alcuni dei familiari delle vittime della tragedia, si chiedono come mai lo Stato non si sia ancora costituito parte civile nell'inchiesta bis sul presunto depistaggio.
Il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, in accordo con il premier, Giuseppe Conte, avrebbe deciso di costituire il governo parte civile.
I familiari delle vittime
"Il processo possono anche non farlo a questo punto, ormai non ha senso credere nella giustizia. L'unico a pagare, fino ad oggi, sono io per aver portato i fiori a Stefano, e sto affrontando un processo per questo". Ha scritto un lungo post sulla sua pagina Facebook, Alessio Feniello, padre di Stefano, una delle 29 vittime.
Nel suo sfogo, questo genitore, da subito molto attivo perché fosse ristabilita la verità sui fatti di Rigopiano, ha scritto di essere stato preso in giro dalla giustizia. Mentre sembrerebbe sfumare la possibilità di individuare responsabili della strage, l'uomo è stato condannato al pagamento di 4550 euro per aver portato fiori per il figlio morto, nell'area interdetta del resort.
Il 21 maggio del 2018, aveva violato i sigilli giudiziari apposti allo scopo di delimitare l'area nella quale si trovavano le macerie del resort. Sente di essere il primo condannato, l'unico finora a pagare per quell'immane tragedia.